Maschere

Sovente, quando si avvicinano scadenze importanti, le cose non vanno come si vorrebbe e magari si è nei pressi di un derby, a Lugano come ad Ambrì si tende a perdere il controllo della situazione. Ammesso e non concesso che la situazione sia mai stata sotto controllo. Cose successe in passato, cose successe molto recentemente. Per l’ennesima volta in questi anni duemila e rotti in casa bianconera e in quella biancoblù si è dato avvio a un nuovo ciclo in corso d’opera. Interrompendo, evidentemente, quello che più o meno un anno prima si riteneva fosse del definitivo rilancio verso le giuste ambizioni.

Così, le due squadre ticinesi di Lega Nazionale A hanno cambiato un’altra volta l’allenatore. E i due nuovi assunti si sono dovuti accontentare di traghettare le rispettive squadre fino al termine di questa stagione. Poi si vedrà. V’è comunque da credere che, là dove stavano fino a qualche giorno fa, l’uno e l’altro stavano peggio rispetto ai termini brevissimi dei contratti firmati.

Allenatori cambiati un’altra volta. Eppure proprio questa soluzione si è mostrata ben raramente quella utile alla causa, sia di Lugano sia di Ambrì Piotta. Nessun tecnico riesce a superare la soglia dei due anni se viene a lavorare in Ticino. Ma allora, forse, il problema sta a monte di questa figura fragile. Dalle nostre parti. Il problema sta probabilmente nella conduzione che caratterizza i due club. Che peraltro si differenzia nei due casi. Ma nei due casi è deleteria nell’inseguimento dei rispettivi obiettivi. Il Lugano rincorre un titolo da ormai undici anni e l’Ambrì Piotta, nel medesimo lasso di tempo, si è qualificato una sola volta per i playoff e due volte ha dovuto misurarsi nello spareggio di promozione-relegazione.

Il licenziamento frequente degli allenatori permette e Lugano e Ambrì di mascherare i veri problemi. Che da una parte, alla Resega, sono uno spreco presuntuoso di mezzi al di sopra della media, con un coccolamento eccessivo dei giocatori che vanno per la maggiore. Mentre dall’altra il problema è il graduale allontanamento dalla tradizione che ha fatto la storia dell’Ambrì Piotta, per inseguire sogni improbabili attraverso coscienti bugie.

A Lugano si è insomma tornati a puntare al titolo attraverso le spese importanti, guardandosi troppo spesso allo specchio. Se trent’anni e rotti indietro, assicurarsi gran parte dei migliori giocatori è stata la politica vincente, oggi questa non è più possibile perché la concorrenza si è parecchio moltiplicata. Da una parte il Lugano è cresciuto, soprattutto nel portare in prima squadra sempre più giocatori cresciuti nel proprio settore giovanile, ma dall’altra non sa mantenere la continuità necessaria per avere successo. Cambiare guida tecnica e filosofia di gioco così spesso, finisce per impedire la creazione di una filosofia societaria. Di una filosofia pagante.

Ad Ambrì, dove si dovrebbe pensare soprattutto a mantenersi nella categoria maggiore, ogni anno si fanno proclami, si promettono risultati, si generano attese. Ben sapendo che l’obiettivo raggiungibile è ben al di sotto di queste attese. Tutto questo la società leventinese lo fa spendendo più di quanto si possa permettere, per avere giocatori che vengono essenzialmente sopravvalutati. E, purtroppo, e i tempi corrispondono mese più mese meno con la durata della presente presidenza, smantellando gradualmente un settore giovanile che è ormai un fiore all’occhiello appassito. Proprio in antitesi con quella che dovrebbe invece essere la politica di un club tradizionalmente di formazione, qual è l’Hcap.