Un primo giro che promette

Le partite dello scorso weekend hanno permesso a Lugano e Ambrì Piotta di completare il giro di avversari del loro primo turno. Il che permette di fare una prima sommaria valutazione di quanto il cambiamento di rotta sul piano tecnico possa aver giovato o meno alle due squadre ticinesi. Classifica alla mano (Lugano primo pari merito con i campioni del Berna e Ambrì Piotta in “zona playoff”) a un quarto del cammino i risultati danno ragione alla scelta di Greg Ireland da una parte e di Luca Cereda dall’altra.

Con il canadese, il Lugano ha forse trovato l’allenatore capace di dare equilibrio a un gruppo di giocatori che non hanno saputo in passato tramutare il talento in rendimento con la necessaria continuità. Il Lugano è effettivamente una squadra forte e in grado di arrivare molto lontano. L’inciampo in avvio contro l’Ambrì Piotta è stato il classico incidente di percorso che ha permesso di aprire subito gli occhi a chi pensava che bastasse la sufficienza per vincere. Senza quell’inciampo, e qualche settimana dopo quello di Losanna, il Lugano dominerebbe dall’alto tutta la concorrenza. Determinanti sono poi stati l’inserimento difensivo di Sanguinetti e la ritrovata vena realizzativa di Hofmann.

Luca Cereda ha dal canto suo saputo dare all’Ambrì Piotta una propria dimensione. La squadra leventinese, come si poteva presumere, è una delle più deboli della massima Lega. Tuttavia una valida preparazione fisica (al cospetto di quella dilettantesca degli ultimi anni) e un gioco semplice, pur se dispendioso, permettono all’Ambrì di battere le squadre che ha la possibilità di battere. Non a caso (fatta eccezione del citato derby d’avvio, che era stato soprattutto perso dagli avversari) le vittorie sono state ottenute dai biancoblù a spese delle quattro compagini che stanno loro alle spalle: Losanna, Ginevra, Langnau e Kloten. Il Losanna è potenzialmente davanti e la lotta sarà certamente agguerrita fra le ultime cinque squadre della classifica per un posto nei playoff. Tuttavia, l’Ambrì ha dimostrato che può giocarsela. Tanto più che D’Agostini si sta dimostrando uno dei migliori stranieri del campionato e che ci si possono attendere contributi più sostanziosi dai suoi tre colleghi Emmerton, Plastino e Taffe.

Occasione persa, anzi buttata via

Superficialità, retorica, banalità, fino al grottesco finale. La trasmissione Rsi per sottolineare l’ottantesimo compleanno dell’Ambrì Piotta è stata soprattutto un’occasione persa. C’erano ottanta invitati e in studio avran parlato in una mezza dozzina al massimo. Il che dice da sé che il grosso dei presenti era pura ripiena ad effetto. In due ore di trasmissione non si è riusciti ad esempio a giustificare la presenza di Oleg Petrov, che sarà pure venuto apposta da Montreal, ma è venuto per niente. Neanche una piccola scheda sul suo passaggio in Leventina. Gli ottant’anni dell’Ambrì sono stati celebrati con frasi fatte e concetti omologati. Mai un guizzo, mai qualcosa che capace di suscitare un “bravi”. Si è voluta anche fare un po’ di televisione del dolore, tanto cara ai canali italiani, mettendo in grosse difficoltà Pauli Jaks – che sicuramente aveva in gola un groppo così – chiedendogli se il fratello manca (?), appena dopo aver trasmesso immagini della commemorazione per la morte di Peter, tenutasi alla Valascia.

Non si è mancato, ogni cinque-dieci minuti, di tirare in ballo il Lugano che, a parte il derby, c’entrava poco con il tema della serata. Ma è il classico oregiattismo trasversale che striscia spesso in tv per questione di ascolti. E magari non era neanche strettamente necessario annunciare a più riprese che fra quattro anni ci sarà una trasmissione per gli 80 dei bianconeri. Qualcuno dubitava?

Sul finale show messo in scena dal tifoso bianconero Invernizzi e dall’istrionico Baron (naturalmente con un riferimento anche al Lugano) meglio stendere un pietoso velo.

Delle due ore di trasmissione ci sono comunque alcuni punti da salvare: il competente e coinvolgente contributo di Bernard Russi, quello pacato e puntuale di Nicola Celio e lo splendido silenzio di Cipi Celio all’ennesima domanda idiota con risposta già incorporata.

Lamenti

Ci sentiamo ai margini e ci lamentiamo. Questo povero Ticino vituperato. Ci si puliscono tutti le scarpe sul nostro zerbino. Saremmo anche disposti a metter su un ministro che difende a oltranza le casse malati, che ci hanno depredati per decenni, basta che sia ticinese. Etnia anche a scapito di intelligenza e soprattutto onestà. Una cosa che suscita sinistre riminiscenze.

Vediamo ovunque sgarbi nei nostri confronti. Apriti cielo! E il cielo si è aperto su Lugano sabato scorso, rendendo impossibile il prosieguo di una partita. Quella che il FCL stava disputando con il San Gallo. E stava vincendo. La palla non rimbalza più e, da regolamento, partita sospesa e chiusa anzitempo. Alla fine del primo tempo. Particolare non sorvolato dai professionisti del lamento, il Lugano stava vincendo con un gol messo a segno nel pieno della tempesta, quando già il calcio stava venendo meno.

Bisogna rifare la partita. Ma dall’inizio. “Ma come, ma se vincevamo. Ma cos’è questa ingiustizia?”.

È il regolamento. Che, si sa, se sta dalla tua va bene, se ti vien contro bisogna cambiarlo. Il Lugano ha subito inoltrato un ricorso, un lamento, la reazione a un ipotetico sgarbo. Nel segno della giustizia lo avrebbe sicuramente fatto anche se fosse stato in vantaggio il San Gallo.

La realtà è che non si sa più accettare niente.

Il calcio è una disciplina che deve il successo che ha a delle regole semplici. Lo stanno rovinando cambiandole una ad una e mettendoci in mezzo la tecnologia. Quella tecnologia che sta togliendo la poesia al calcio. Che annulla in partenza leggende come la Mano de dios di Maradona a Mexico 86. Se non si accetta che un nubifragio determini il rifacimento di una partita come da regolamento, si finirà per spingere verso i campi sintetici e senza arbitri con il televoto che deciderà su un offside.

Campionato speranze

A cavallo tra luglio e agosto inizia il conto alla rovescia per l’inizio del campionato di hockey. In Ticino, come abitudine, i giocatori di Lugano e Ambrì Piotta si godono il primo bagno di folla.

Alla Resega già si sono potuti seguire i primi movimenti sul ghiaccio di una formazione che prova un’altra volta a rincorrere quel titolo che manca ormai dal 2006, la stagione che regalò l’ultima gioia ai tifosi e coincise anche con uno stop dettato da motivi inerenti le grosse irregolarità nel versamento degli stipendi (gran parte non dichiarati) che dettero probabilmente il vero stop a una situazione che era sfuggita dal controllo. Il Lugano ora ha costruito con maggiore equilibrio e si prepara a un altro campionato di vertice dal quale spera di cavare il massimo possibile. La rosa è prestigiosa, completata da arrivi di indubbia qualità. Il solo interrogativo riguarda semmai un allenatore, Greg Ireland, che ha alle spalle due esperienze a breve termine sulla panchina bianconera e che sarà stavolta confrontato con l’enorme pressione che monta con l’avvicinarsi dell’autunno e spesso crea esplosioni nell’avvicinarsi all’inverno. Se Ireland, confrontato con un pollaio ricco di galli, riuscirà a gestire il gruppo come ha dimostrato di saper fare nelle brevi esperienze post-stagionali, il Lugano potrebbe puntare davvero in alto.

Punta decisamente più in basso l’Ambrì Piotta. Alla Valascia, domenica c’era meno gente del solito alla presentazione, e anche i toni dell’entusiasmo erano contenuti. Si sa che sarà una stagione difficile. Condizionata da un ridimensionamento dettato dalla disastrosa stagione dalla quale si esce. Ci vorrà pazienza ma, soprattutto, lucidità. L’Ambrì va incontro a un campionato difficile (squadra giovane e inesperta) e a una scommessa ancora più difficile: una pista da costruire senza i soldi necessari e contro ogni logica (se costruita nella piana di Ambrì non potrà mai generare un reddito e non si finirà mai di pagarla). Luca Cereda sa il fatto suo ma ha bisogno di estrema fiducia da parte di tutto l’ambiente. La squadra è sì più ticinese, ma sarà poi da vedere quanti ticinesi potranno poi trovare un posto da titolare, poiché un campionato di LNA è tutt’altra cosa rispetto a quello di B (o playout che dir si voglia). Bisognerà lasciarsi sorprendere e sperare nel meglio. Del resto, peggio dell’annata scorsa si potrà mai fare?

PS: Magari Filippo Lombardi potrebbe chiedere un prestito a lungo termine (o vendere azioni con aggio) a Nino Niederreiter, che incasserà un paio di decine di milioni nei prossimi cinque anni, in NHL.

Ma il Galà non va urlato

Clima ideale, organizzazione all’altezza, punti di ristoro ben distribuiti. Il Galà dei Castelli aveva tutte le premesse per una serata di successo e la forte affluenza di pubblico ha contribuito al degno contorno. Sul piano sportivo non si poteva chiedere di meglio. Parecchie prestazioni di rilievo e i picchi del primato svizzero eguagliato da Mujinga Kambundji e la miglior prestazione mondiale dell’anno nel lancio del disco, grazie a Sandra Perkovic hanno assicurato anche il successo tecnico alla manifestazione, che di anno in anno acquisisce sempre più prestigio.

Sugli spalti del Comunale serpeggiava tuttavia una sorta di malcontento, di stizzito malessere. Dopo neanche mezz’ora che il meeting aveva preso avvio si concertava persino un’invasione di campo per vedere di mettere a tacere i due urlatori armati di microfono.

Spavaldi nelle loro inutili sottolineature a volume ben superiore a quello che dà fastidio al bagno pubblico o la sera durante i concerti, i due urlatori hanno tolto una delle componenti essenziali per chi segue con passione i gesti sportivi: l’emozione. Non hanno taciuto un attimo, gracchiando mentre i lanciatori lanciavano, i corridori correvano e i saltatori saltavano. Hanno tolto la magìa che dà il silenzio nel momento in cui l’atleta sta mettendo in atto la sua impresa (grande o piccola che sia), un silenzio che poi giustamente esplode nel giubilo o soffoca nel sospiro di delusione.

I due urlatori hanno tolto molto ai cinquemila del Comunale. Alla fine, i più in evidenza, con la loro esagerata presenza vocale, sono stati loro. Purtroppo.

Semplicemente Federer

Ne sono state dette e scritte tante in questi giorni in merito alla vittoria di Roger Federer a Wimbledon e, più in generale, sul suo ritorno in auge dopo un periodo di alti e bassi che aveva permesso ad altri di innalzarsi sulle vette del tennis mondiale. In particolare, più o meno tutti si sono soffermati sull’impossibilità di trovare nuovi aggettivi da affiancare al nome del campione basilese. Le iperboli si sono sprecate.

Scremando ben bene tra le definizioni che vogliono essere quelle assolute nell’intento dei vari autori delle sperticate lodi, si arriva tuttavia alla conclusione che Roger Federer non rappresenta altro che la semplicità. Un termine che racchiude in sé la facilità, la modestia (o umiltà) e, soprattutto, il divertimento.

Per cominciare è un atleta. Il che significa che ha capacità fisiche superiori alla media. Allenandosi le migliora ulteriormente. Poi ha talento. In generale. Sarebbe probabilmente riuscito in qualsiasi disciplina. Evidentemente ha scelto il tennis perché si è accorto che gli riusciva bene. Fisico superiore, allenamento e talento sono una miscela esplosiva. Usando la testa poteva dunque esplodere come sportivo. E usare la testa vuol dire rimanere umile. Continuare cioè ad allenarsi per mantenere il fisico superiore e sviluppare ulteriormente il talento, anche dopo che ti sei accorto di esplodere come sportivo. E tutto riesce perfettamente solo se ti diverti. Lui si diverte, si vede. Perciò diverte.

Quello che piace di Federer è la semplicità. Quando lo guardi giocare, anche seduto davanti alla tv, ti sembra che tutti i movimenti che faccia siano quelli giusti. Perché sono semplificati all’osso. Si muove in maniera naturale. La maggior parte degli altri numeri uno hanno un che di innaturale. A cominciare da quel rovescio a due mani che li fa contorcere. E per arrivare alla pallina devono correre quel metro di più. Che volta per volta diventano chilometri. E finiscono per rompersi.

Federer è tornato a stravincere perché continua a divertirsi e ha messo da parte la smania da record che lo aveva a sua volta logorato all’inizio di questo secondo decennio degli anni duemila.

Si diverte come nei primi anni dei suoi successi, quando si divertiva per spensierata gioventù. Ora si diverte per spensierata maturità. Si emoziona ed emoziona, piange ogni tanto e spesso gli viene da ridere. Insomma, uno semplice.

Risorse rinnovabili

La brillante idea dell’Ambrì Piotta di far chiedere, nelle tre principali lingue nazionali, a tre giocatori di battere cassa tra i tifosi per il finanziamento di un interessante tabellone led, da piazzare in pista, che dovrebbe in utima analisi servire a condizionale i tifosi stessi nei loro acquisti, potrebbe avere un seguito. Dovesse funzionare la curiosa richiesta, l’Hcap ha già in serbo altre geniali proposte di questo genere per i propri fedeli sostenitori. Eccole in esclusiva:

  • Partecipazione all’acquisto di tutta la merce inerente il settore della ristorazione e degli spacci di bibite, che poi saranno loro rivendute con la relativa maggiorazione di prezzo per finanziare il club
  • Partecipazione all’acquisto di colori e vernici per rinfrescare le pareti esterne della Valascia (lato nord) e degli interni (corridoi sotto la tribuna principale, zone vip e buvette). Gradito sarà anche il contributo attivo con pennelli e rulli vari.
  • Finanziamento diretto per la revisione e/o sostituzione di televisori, poltrone e divani nei settori riservati alla ricreazione e al riposo dei giocatori
  • Settimanale pulizia interna delle vetture di rappresentanza dello staff amministrativo
  • Libera offerta di case e appartamenti per giocatori e staff tecnico
  • Noleggio di torpedoni per le trasferte della squadra
  • Noleggio di pullman e pullmini per il settore giovanile (strettamente in esclusiva per genitori e parenti dei giocatori di questo settore)
  • Naturalmente, rimane sempre aperta l’opzione di finanziare la nuova pista sul sedime dell’aeroporto con la relativa assunzione delle spese di mantenimento e della responsabilità diretta in caso di fallimento del progetto

In cambio il club offrirà:

  • nomina a socio onorario (senza potere decisionale)

  • un chilo di caffè macinato per preparazione “alla turca”

  • eterna gratitudine

PS: Rimane sottinteso che il tifoso continuerà a farsi carico dell’acquisto di biglietti e/o tessere stagionali d’entrata alla pista per le partite (senza maggiorazione di prezzo)

I tempi del Villaggio

Ill.mo, Spett.le Lup. Mann., Direttore generale,

(…) Questa settimana mi è successo un fatto che Le voglio raccontare perché Ci darà (a Lei Sig. Direttore) un’idea di quanto siano diversi da come li descrivono i “sovversivi rossi” gli Spett.li Sigg.ri Dirigenti, e come siano giudicati ingiustamente ed erroneamente. (…) Giovedì scorso sono dovuto andare a Milano per conto della mia Società. (…) Giovedì sera sono ripartito dalla stazione Centrale in una cuccetta di 6.a classe per impiegati. (…) Eravamo in 9 nello stesso scompartimento. (…) Alle 3 di notte sono uscito nel corridoio. (…) Mi avventurai allora lungo il treno e scoprii un mondo meraviglioso. Passai al buio per un vagone ristorante clamoroso, con le poltrone di cuoio e ancora pieno di odori che mi facevano quasi perdere i sensi. E arrivai al silenzio pieno di moquettes arabescate di un magnifico vagone letto. Da quella moquette emanava una tale sensazione di pulito che io mi lasciai andare giù lentamente,

Mi svegliò alle 6 e 40 del mattino il conducente che scambiandomi per un cliente ricchissimo ma sofferente di claustrofobia, mmi rovesciò in gola un caffè a 5’000 gradi Fahrenheit! Lo sfrigolio sinistro e l’odore di bruciaticcio svegliarono anche altri potenti che dormivano nelle loro alcove. Ed eccoli che cominciavano ad uscir fuori in corridoio profumati come ballerine turche, con i visi gonfi come pugili e con gli abiti fetidi come barboni. (…)

Parlavano di vacanze: “Non si sa più dove andare: Riccione, Viareggio, la Riviera un vomito. Ovunque gente oscena!”. Io ci rimasi male perché capii che al solito sbagliavo tutto, io che da 2 anni mettevo da parte i soldi per portare mia moglie e mia figlia sulla costa adriatica. Avevano le famiglie a Gstaad in Svizzera, un posto che non conoscevo “per tener lontani almeno loro da tutto questo schifo che è l’Italia”. Io per un attimo mi permisi di pensare che in fondo è l’Italia che avevano costruito loro, la classe dirigente, ma non mi sentii di insistere troppo.

Io li guardavo sempre ammirato quando il treno entrò lentamente in Termini. Sulla banchina c’era una lunga striscia di braccianti calabresi che venivano dalla Svizzera per timore del Referendum. (…)

Gli emigranti erano seduti sulle loro tremende valigie di cartone tenute chiuse con gli spaghi. Avevvano le facce magre e scure, marmorizzate in un dignitoso dolore. Eravamo tutti al finestrino. Il Megadirettore disse: “È stato un anno terribile”. “Per chi?”, domandò trillando il Sig, Direttore Generale. Ma come per chi? Mi permisi di pensare io, non vedi come sono ridotti questi poveretti? E il Sig. Megapresidente; “Perché non abbiamo mai avuto a Gstaad una neve così farinosa!”.

Da Le lettere di Fantozzi, di Paolo Villaggio (Rizzoli, 1976)

PS: Se n’è andato un genio, uno davvero un passo avanti. Il tempo gli si è fermato, ma i tempi non cambiano poi come si dice.

Beniamino in cerca di sé

Lo staff dell’Ambrì Piotta ha dunque deciso di optare per la soluzione Benjamin Conz, nel ruolo di portiere, e di rinnovare la fiducia a Cory Emmerton, nel pacchetto stranieri. Sono evidentemente soluzioni di emergenza, nel senso che, probabilmente, il mercato dei portieri era così chiuso che ci si è finiti per orientare sul giurassiano. Nonostante i costi che, pur se ridotti rispetto alle cifre del Gottéron, sono certo onerosi. Che Cory Emmerton non fosse una prima scelta lo dimostra il fatto che, nonostante il giocatore fosse fortemente interessato a rimanere (Hcap dixit), non gli è stato rinnovato il contratto con maggiore celerità. E, d’altro canto, altrettanto probabilmente, Emmerton non aveva grandi opzioni oltre a quella leventinese.

Ad Ambrì si lavora con pochi soldi e dunque ci si deve muovere con cautela. Conz non è un fulmine di guerra. Portiere dal grande potenziale, non ha saputo sfondare da nessuna parte e da professionista ha centrato una solo due stagioni di eccellenza, tra il 2012 e il 2014, quando il Friborgo era ai vertici. Altrimenti, molti alti e bassi. Più bassi che altro. E lo dimostra anche il fatto che non ha saputo guadagnarsi la fiducia a lungo in nessun club. La sua pare un po’ la storia di David Aebischer, altro portiere dal grande potenziale, che ha vissuto una carriera al di sopra dei suoi meriti, grazie a una bella stagione in gioventù, senza peraltro diventare mai il vero numero uno in nessuna squadra.

Conz ha solo da guadagnarci attraverso l’opportunità offertagli dall’Ambrì Piotta, che da parte sua ha parecchio da perdere se il ventiseienne paffutello non troverà infine l’equilibrio tra il talento, da una parte, e l’impegno e il rendimento costanti, dall’altra.

Non rimane che lasciarsi sorprendere.

Se scappano anche i kazaki…

Come pubblicato oggi da laRegione, il progetto di Accademia sportiva a Quinto è stato congelato in attesa di decisioni in merito alla costruzione della nuova pista di hockey dell’Ambrì Piotta e dei lavori di potenziamento della centrale elettrica del Ritom.

È un segnale importante soprattutto per i progetti dell’HCAP, che dipendono non poco dalla creazione della suddetta Accademia. In effetti, solamente quella scuola per ricchi permetterebbe con le sue quote di affitto di mantenere una pista del genere, della quale non è ancora peraltro stato completato il finanziamento.

Gli imprenditori kazaki ormai da mesi stanno pensando a una soluzione alternativa in Ticino e questa a quanto pare avrà poco a che vedere con il ghiaccio e anche poco a che vedere con la Leventina. Sembra infatti che da qualche mese si stia lavorando a un progetto che concerne vari sport olimpici (come detto non necessariamente ghiacciati) e che dovrebbe essere concretizzato nel Luganese, in particolare nella bassa Valle del Vedeggio.

Probabilmente, del Sanatorio di Piotta qualcosa faranno gli investitori dell’Est, ma non in tempi brevi e cioè utili all’Ambrì Piotta.

Sono ipotesi che rendono sempre più probabile (se non altro sostenibile) la realizzazione della nuova pista all’imbocco della Valle Riviera.

La dietrologia di mamma tv

Quando l’altra sera il FC Lugano ha raggiunto la sicurezza di qualificarsi direttamente per la fase a gironi di Europa League, la gioia è esplosa allo stadio di Cornaredo, fra tutti i sostenitori dei bianconeri e anche fra i giornalisti della nostra tv di stato. Che, non andrebbe mai dimenticato, è un canale nazionale e non cantonale o sottocenerino.

Non è tanto per il manifestare la soddisfazione senza freni che ha disturbato un po’ nella tarda serata di venerdì, ma piuttosto la gestione della situazione durante lo svolgersi dell’ultima giornata di campionato.

Il Lugano, alla fine, ben dopo la fine del proprio impegno, ha raggiunto l’obiettivo del terzo posto. E lo ha ottenuto grazie al gol di Andersen, che ha permesso al Grasshoppers di pareggiare nei minuti di recupero a Sion. Impedendo di fatto i vallesani di raggiungere al terzo posto il Lugano e superarlo grazie alla migliore differenza reti, una fra le tre positive dell’intera Super League, con quelle di Basilea e YB.

Prima che Andersen riuscisse nell’intento, cronisti, bordocampisti e commentatori vari della Rsi si sono lasciati andare a considerazioni che definire provinciali è persino un complimento. Tutto perché l’arbitro di Sion-Grasshoppers si è sentito male e la partita è risultata ritardata di un quarto d’ora per la sostituzione del direttore di gara. Apriti cielo, come dicono i cattolici, maestri nell’insinuare sensi di colpa nel prossimo e a trovare il diavolo dappertutto. Già, perché quel ritardo – si noti bene, nel contesto di un campionato che ha spalmato le sue trentasei giornate su almeno il quadruplo dei giorni e a tutti gli orari immaginabili – andava a falsare l’esito della stagione. Uno scandalo, hanno tuonato. Ma come, a Sion ritardano la partita, così se il Lugano perde si mettono d’accordo? E giù a dire che è una situazione ridicola, che può succedere solo in Svizzera (da sapersi se il Ticino è da considerare nell’insieme). Insomma, nel più totale abbandono del principio di lealtà che dovrebbe essere uno dei cardini per reggere lo sport tutto. Fra l’altro, si è velocemente sorvolato il fatto che il gol del GC era viziato dal fuorigioco netto di un giocatore che stava tra palla e portiere al momento del tiro di Andersen. Se fosse stato il gol vittoria del Sion chissà quante moviolate…

Togliendo la polvere di superficie, si tratta in fondo dell’incapacità di accettare un verdetto, e soprattutto a priori, se questo non è favorevole. Il famoso non saper perdere.

E con tutta questa dietrologia poi si stupiscono se sui campi degli allievi se la prendono con gli arbitri e costruiscono discorsi moralisti sul senso dello sport. Proprio come i bigotti, predicar bene e razzolare male.

PS: I meriti del Lugano rimangono invariati. L’Europa l’aveva comunque già conquistata sul campo.

Lugano calcio in Europa, ma…

Merito al presidente Angelo Renzetti che ci ha creduto, che ha saputo scegliere l’allenatore giusto in un momento non scontato. Merito all’allenatore stesso, Paolo Tramezzani, che ha saputo compattare il gruppo e farlo rendere al massimo. Merito ai giocatori, che hanno realizzato in campo quanto preparato in allenamento. Merito al talento superiore di qualche giocatore, come Alioski, Sadiku e Mariani. Se il Lugano ha riconquistato un posto sulla scena internazionale per la prossima stagione lo deve all’amalgama di tutti questi ingredienti.

Senza nulla togliere a tutte queste componenti, non sfugge però a un’analisi appena più approfondita la considerazione che buona parte del merito di questo successo il Lugano lo deve al livello sempre più basso del campionato svizzero di calcio. Un campionato che a una giornata dalla fine conta solamente tre squadre con una differenza reti positiva: le prime due della classifica (Basilea e Young Boys) e la quarta classificata (il Sion). Le altre sette, compreso il Lugano che potrebbe concludere al terzo posto, hanno incassato un numero superiore di gol rispetto a quelli che hanno messo a segno.

Chi sta alla testa del calcio svizzero non può più ignorare questo progressivo deperimento che in gran parte è dovuto a scelte di Lega e Federazione nel nome di una presunta crescita sul piano internazionale. Una crescita che vale per la Nazionale, ma non certo per merito del campionato. Restringere la scena interna a poche piazze privilegiate ha tolto di fatto la possibilità di formarsi e crescere a un numero troppo grande di ragazzi, vistisi confrontati con una selezione precoce fatta nei modi di paesi che possono permetterselo per numeri ma insostenibile da noi. Sono nate sorti di “accademie” che sul piano interno non fanno altro che distruggere i settori giovanili (vedi Team Ticino) e allontanare i giovani dal calcio perché è un calcio che non permette più loro di sognare. I giocatori svizzeri che escono da queste scuole non portano nulla al campionato svizzero, perché le poche decine che hanno i numeri se ne vanno all’estero molto presto. E d’altra parte le venti squadre di Lega Nazionale sono composte per lo più da stranieri giovani in cerca di una vetrina o da scarti di altri campionati.

L’esclusione graduale delle periferie, l’esagerata richiesta di criteri economici improponibili hanno portato a una situazione paradossale. Da una parte diverse società abituate alle posizioni di preminenza devono spendere sempre di più per tenere il passo e tolgono questi soldi alla formazione. E allora arrivano i fallimenti o il rischio di caderci. Aprendo così la strada a realtà più piccole che dall’altra parte approfittano della frenesia altrui per godersi un po’ di gloria. Il Lugano in fondo è una di queste. Ma facilmente si rivelerà anche per i bianconeri una gloria effimera perché al momento di fare i conti occorrerà lasciare che i Sadiku e gli Alioski di turno godano dei frutti del loro talento.

In conclusione, il calcio svizzero al proprio interno può permettersi solo progetti a breve termine, fatta naturalmente eccezione per delle forze economiche come Basilea e Young Boys, il che potrebbe finire per soffocarlo. Il Lugano lo scorso anno si è salvato per il rotto della cuffia e quest’anno ha conquistato l’Europa. Ma fra un anno potrebbe tornare da dove è venuto, perché lo spazio di manovra è troppo esiguo. Ed è un peccato.

Alta scuola

Benché sia stata eliminata un’altra volta nel primo turno dei playoff, la Svizzera ha dimostrato a Parigi che il secondo posto ottenuto nel 2013 a Stoccolma non era stato frutto del caso. L’ottimo torneo preliminare, senza sconfitte nei 60′, ne è la numerica testimonianza. Ma oltre che nella sostanza, è soprattutto nella forma che la Nazionale ha convinto.

Se in occasione dell’argento in Svezia si era fatta leva in gran parte sulla notevole esperienza di gran parte di quella selezione, oltre che del talento di qualche giovane destinato a una carriera brillante (uno su tutti, naturalmente, Roman Josi), stavolta sono stati soprattutto i giocatori più giovani a impressionare positivamente. E, nei due casi, va assolutamente sottolineato come la Svizzera possa regolarmente disporre di portieri di classe superiore (Gerber e Berra nel 2013, Schlegel e, soprattutto, Genoni quest’anno).

Patrick Fischer si è dimostrato un coach intellingente e attivo, calmo nella misura di non rendere nervosi i giocatori, determinato e sicuro tanto da farsi seguire dagli stessi. Il fatto che abbia rimescolato le linee e inserito giocatori tenuti a riposo all’inizio, senza che il rendimento collettivo ne risentisse, dimostra quanto le sue scelte sin dal momento della selezione siano state oculate e vincenti.

La Svizzera è caduta un’altra volta nei quarti, ma in questa occasione può persino recriminare ed è stata veramente vicina al passaggio in semifinale. E ci è arrivata, come in ogni partita di questo Mondiale, giocando a viso aperto e non chiudendosi a riccio davanti al portiere.

L’unica pecca in tutto il torneo è stata la scarsissima efficacia del gioco in superiorità numerica. Un limite che finisce persino per esaltare le qualità complessive della squadra e gli apre anche ampi margini di miglioramento.

Non va inoltre trascurato il fatto che la Svizzera ha schierato soli tre giocatori provenienti dai campionati nordamericani, dovendo rinunciare a oltre una mezza dozzina di elementi di qualità. Il che non fa altro che sottolineare il valore della scuola svizzera e quanto il livello del nostro campionato sia mediamente alto, allargando di fatto le possibilità di scelta per l’allenatore.

Il fiore all’occhiello

Nell’ultimo decennio, in particolare, parecchi giovani giocatori di hockey sono passati dall’Ambrì Piotta al Lugano. Generalmente, il passaggio è avvenuto in età tra i Mini e i Novizi, laddove si profila la reale possibilità di migliorare per tentare una carriera.

Naturalmente, in casa biancoblù si è puntualmente contrabbandata la cosa come uno sgarbo dei bianconeri, che andavano a prendere i migliori talenti in casa dell’Ambrì senza alcun riguardo. Questa è la giustificazione che facevano filtrare in direzione dei genitori di quei giocatori dell’Ambrì che rimanevano “fedeli”. Se per caso, qualcuno addentro alle questioni hockeistiche faceva notare ai solerti dirigenti e anche a parte degli allenatori leventinesi che se c’era un simile esodo di talenti era semplicemente perché a Lugano si lavorava meglio e con i giocatori si parlava chiaro in termini di possibilità di carriera – con tanto di indirizzamento secondo le qualità -, la risposta era la solita: “Abbiamo anche noi un eccellente staff tecnico”.

Intanto, a Lugano si è investito e ed Ambrì si è tagliato. Si è agito come fanno parecchi datori di lavoro, ossia si sono ridotti i costi e lo si è fatto senza pensare alla qualità, ma solo in funzione di ipotetici risultati. E naturalmente si è tagliato nel settore giovanile.

Finalmente, è arrivata nero su bianco e da una posizione neutrale la risposta a tanti quesiti. La Lega ha premiato il Lugano per il migliore settore giovanile in Svizzera. Sotto la guida del presidente Ronchetti prima e di Werder poi (entrambi Marco) il settore giovanile del Lugano ha raggiunto l’eccellenza, piazzandosi davanti a scuole come quelle di Berna o Zurigo, Bienne, Langnau e Davos, per tacere dell’Accademia di Zugo. E i risultati in fondo si sono visti anche con la titolarizzazione costante nella prima squadra di numerosi giovani cresciuti nel vivaio luganese.

E l’Ambrì? L’Ambrì, il cui presidente si è esageratamente avventurato nel sottolineare come il settore giovanile fosse “il fiore all’occhiello della società”, si ritrova con il peggiore punteggio fra i dodici club di LNA anche quanto a valore della formazione. Proprio perché non ha più investito.

Per fortuna, la stagione appena conclusa è andata davvero stortissima alla prima squadra dell’Hcap, ha visto gli Juniores élite rischiare la retrocessione e i Novizi élite retrocessi, costringendo il club a prendere decisioni drasticamente opposte a quelle assunte finora. Altrimenti si sarebbe fatto finta di niente un’altra volta.

Intanto, merito al Lugano, che ha davvero un bel fiore all’occhiello.

Fumo negli occhi

La famosa trasparenza con cui tutti si riempiono la bocca nel mondo dello sport professionistico, quando le cose non vanno per il meglio, è una trasparenza di mezze verità. Opaca. Come se ci fosse nebbia tutto intorno. Ma no, si tratta bellamente di fumo soffiato ad arte negli occhi di chi continua a crederci, nonostante.

Così lontani e così vicini, in questi ultimi giorni ci sono due casi che danno da pensare: la nuova pista dell’Ambrì Piotta e la riforma della Fifa. Apparentemente non c’è nesso. Ma c’è. Entrambi i progetti erano (sono) viziati dalle mezze verità che, a furia di dimezzarle, di vero hanno sempre meno, rispetto alla casella di partenza.

***

Per lunghi anni, il presidente dell’Hcap ha sentenziato che la sola salvezza per il futuro ad alto livello della società sottostava alla realizzazione di una nuova pista. Come costume, si è partiti con ambizioni al di sopra delle possibilità, cominciando come costume a tirare le borse delle sovvenzioni pubbliche. Si è coinvolto l’architetto che va per la maggiore (e certo non pro bono) e si è sparato lì un progetto mastodontico con doppia pista, palestra, al quale presto è venuto ad affiancarsi un altro volo pindarico concernente la realizzazione di una pista di ghiaccio all’aperto sull’intero sedime del campo d’aviazione di Ambrì. Il tutto sorretto da un altrettanto enorme progetto in mano a miliardari kazaki del gas, pronti a realizzare un’Accademia sportiva all’ex sanatorio di Piotta, che avrebbe garantito un’entrata determinante per il mantenimento della struttura. Ora il progetto si è ridimensionato ai minimi termini, dei kazaki non si sente parlare da un bel po’, ma resta la necessità della pista. La soluzione fattibile e sostenibile economicamente sarebbe quella di spostare l’impianto a Castione. E, malgrado tanti discorsi, lo sanno bene anche i dirigenti dell’Ambrì, che la pista la devono realizzare per forza per rimanere entro i termini per continuare a ottenere in futuro la licenza di Lega Nazionale A. Cosa succede allora? Succede che a finanziarla sono stati chiamati un’altra volta i tifosi dell’Ambrì. Pochi anni dopo che si era detto che non sarebbe più successo, la dirigenza Hcap lancia un’altra colletta popolare che, di fatto, nella storia recente della società è stata l’unica soluzione che è stata in grado di trovare per tenere a galla il bastimento. Si continua di fatto a nascondere l’evidenza che la ragione principale del crescente deficit strutturale del club è proprio il fatto che la prima squadra dell’Ambrì deve allenarsi e giocare nella frazione di Quinto. Costruire una pista nuova ad Ambrì sarebbe insostenibile a medio lungo termine (come si presenterebbe ben difficile organizzarvi eventi di massa che non siano legati all’hockey). Inoltre, se la Valascia ha un suo fascino e un particolare richiamo come impianto in sé per la storia che trasuda, demolirla e poi costruirne una all’areoporto o a Castione non farebbe alcuna differenza. Di storia non ne trasuderebbe più.

***

Sul fronte della Fifa, puntuale è arrivata la conferma che la sospensione rumorosa di Sepp Blatter e Michel Platini altro non era che il sacrificio di due capri espiatori per poi continuare a gestire nel torbido. Principali artefici delle inchieste che scoperchiarono la macchina corrotta della più grossa federazione sportiva mondiale, i presidenti della commissione etica, lo svizzero Cornel Borbély e il tedesco Hans-Joachim Eckert, sono di fatto stati sollevati dall’incarico e verranno sostituiti da due nuovi presidenti, Borbély ed Eckert hanno portato alla condanna di 70 persone per corruzione in due anni ma, evidentemente, il nuovo capo del governo planetario del calcio, Gianni Infantino, creatura cara a Blatter e Platini, ha deciso che settanta sono abbastanza ed è tempo di fare piazza pulita degli uomini delle pulizie. La credibilità della Fifa e dell’allegro italo-svizzero di Briga comincia a scricchiolare rumorosamente. Altro che trasparenza, altro che etica. Pare Trump.

Di Fischer e di portieri

Qualche giorno fa, il solito pungente Klaus Zaugg, affermava in un suo articolo su watson.ch, che i Mondiali di hockey a Parigi avrebbero infine dimostrato se alla transenna la Nazionale ha un generale o una cheerleader.

Dopo la prima partita, qualche dubbio è sorto, con il mezzo disastro di un vantaggio per 4-0 alla fine del primo tempo, trasformato un una vittoria sulla neopromossa Slovenia solamente ai rigori. Ma al secondo appuntamento, tutto il positivo che i rossocrociati avevano mostrato nei primi 20′ dell’esordio lo hanno spalmato sugli interi 60′, rimandando battuta una Norvegia che negli ultimi anni ha dato parecchio fastidio alla Svizzera.

In fondo sono bastate due correzioni, una direttamente proposta dall’allenatore, l’altra concretizzata dai giocatori su invito dello stesso Patrick Fischer. La prima è stata il cambiamento di portiere, la seconda un maggiore controllo della foga agonistica.

La Svizzera non aveva saputo chiudere con la Slovenia, perché Jonas Hiller è improvvisamente piombato nei momenti di amnesia tecnica che lo colpiscono ormai da parecchi anni, da quando cioè fu vittima di una forte commozione cerebrale nell’All Star Game di Nhl. A quel tempo Hiller giocava ad Anaheim ed era uno dei due o tre migliori portieri del campionato nordamericano. L’incidente occorsogli, lo ha condizionato nel resto della sua carriera, che sta concludendo a Bienne, tra prestazioni superlative e papere clamorose. Contro gli sloveni, Hiller ha parato bene nel primo tempo e malamente in seguito. La prestazione costantemente su alti toni di Leonardo Genoni ha invece contribuito non poco alla vittoria sulla Norvegia.

A difesa di Hiller bisogna tuttavia dire che i compagni non l’hanno certo aiutato con tutta quella sequela di penalità inutili accumulate soprattutto nel terzo tempo. Ma è chiaro che, ora come ora, il numero uno è diventato Genoni.

Tornando sul tema iniziale, Patrick Fischer sta forse cominciando a raccogliere qualcosa dalla sua filosofia hockeistica offensiva. Dopo i dispiaceri raccolti a Lugano e quelli della scorsa annata, i giocatori cominciano a seguirlo compatti. Sperando che duri.

Parlando di ritorni all’ovile

Si lavora in silenzio nel nuovo Ambrì che vuol tornare alle origini. Paolo Duca direttore sportivo, conseguente nomina di Luca Cereda quale coach responsabile. I due hanno detto che prima di tutto penseranno a completare lo staff tecnico – tra l’altro anche con la posizione di allenatore del Biasca Ticino Rockets – e poi si procederà al completamento della rosa dei giocatori a disposizione per affrontare il campionato. In particolare si attende la formazione del quartetto di stranieri.

Per quanto concerne lo staff tecnico, ci potrebbero essere un paio di ritorni interessanti. In effetti, benché la pista non sia propriamente ticinese, per il ruolo di allenatore del Biasca e quello di assistente di Cereda nell’Ambrì si è sondata anche la possibilità di richiamare in Leventina Rostislav Cada e Leif Rohlin. Rocha ha ricoperto diversi incarichi in passato nel club, dal settore giovanile, alla prima squadra. Quanto all’ex difensore svedese, lo si ricorderà nella formazione tra la fine degli anni 90 e l’inizio degli anni 2000, quando l’Ambrì andava per la maggiore, con la conquista della Continental Cup e della Supercoppa Europea, nonché la disputa di una finale dei playoff.

Tra sogni e realtà

Sovente, nel mondo dell’hockey e segnatamente in quello ticinese, si tende a enfatizzare e ad esagerare nell’ottimismo al cospetto di una stagione entrante. Persino sulla scìa di una stagione al limite del disastro definitivo, l’esaltazione degli aspetti positivi porta (dirigenti e tifosi soprattutto) a nascondere, al limite dell’insabbiamento che ricaccia verso l’oblìo, le componenti che solo qualche mese (o settimana) prima gettavano gli stessi attori nello sconforto.

Sabato scorso l’Ambrì Piotta ha tenuto la propria assemblea consultiva, tesa più che altro ad appianare qualche divergenza, ridare conforto alla tifoseria e in parte a scaricare le colpe su chi non c’era per potersi difendere. L’attacco di Lombardi a Zanatta è stato un esempio di scaricabarile quasi imbarazzante. Si erano intuiti gli errori nel maggio del 2016 ma non si era intervenuti e la colpa è tutta dell’ex direttore sportivo. Lineare e onesta analisi in contumacia.

Sul piano sportivo è stata scelta una strada assolutamente condivisibile – che andava imboccata già parecchio tempo fa – ma poggiandosi su verità gonfiate. I giocatori prelevati dai Rockets sono stati caricati del ruolo di salvatori della baracca. Hanno certamente contribuito con la loro energìa, ma non hanno fatto altro che sfruttare le mancanze dei giocatori dell’Ambrì, preparati male alla stagione e in seguito caduti in una sorta di depressione. Ma attenzione, i giovani, che meritano certamente le loro occasioni con una frequenza maggiore rispetto al passato, sono emersi soprattutto in due frangenti precisi: le ultime inutili partite del torneo di playout e lo spareggio con il Langenthal. Caratteristica di queste due circostanze la debolezza degli avversari. Nelle ultime tre (inutili) partite di playout con l’Ambrì, Langnau, Kloten e Friborgo hanno schierato squadre rimaneggiate e con un impegno relativamente basso. Il Langenthal mostrò poi nello spareggio di promozione-relegazione tutti i suoi limiti. Nello spareggio salvezza con il Friborgo, invece, l’Ambrì, con tutti i suoi Rockets compresi, non ha avuto scampo.

Dunque, giusto dare opportunità e spazio a chi se lo merita, ma attenzione a non esagerare nelle attese. I giovani hanno bisogno di tempo per crescere e gli avversari di un campionato sono mediamente più forti di quelli affrontati nel finale di stagione dall’Ambrì. Un Ambrì che, se fosse stato meglio preparato sul piano fisico, avrebbe sicuramente evitato parecchi dispiaceri anche nella stagione appena conclusa.

Il secondo capitolo importante dell’Assemblea era la pista nuova. Da quanto è emerso sul piano concreto, la soluzione migliore per l’Hcap sarebbe quella di costruire a Castione. L’affetto spinge per Ambrì, anche a costo di fare un’ennesima colletta popolare per arrivare al capitale necessario. Ma davvero poi, questi tifosi animati da tanta generosità, saranno poi disposti a partecipare ai costi vivi della manutenzione e affrontare un eventuale fallimento della rischiosa operazione? Che poi sia meglio la B che Castione, è una pura boutade. Perché se va in B, l’Ambrì fallisce ancor prima di potersi iscrivere a quel campionato. Ma non è ancora chiaro che l’Hcap finanzia la stagione uscente con la campagna abbonamenti e la raccolta sponsor della stagione entrante? E con la squadra destinata alla B, gli sponsor e gli abbonamenti caleranno di brutto, senza dimenticare che salterebbe il progetto Biasca e l’Ambrì diventerebbe di fatto il farmteam del Lugano. E questa è realtà. Amara, ma realtà.

Cereda bella sfida, Conz brutto rischio

Affidare la squadra a Luca Cereda è una bella sfida per l’Ambrì. Ma sarà vincente solamente se si saprà tener duro anche nei momenti difficili. Al nuovo allenatore, l’Ambrì Piotta dovrà concedere il tempo necessario. Quello concesso a Biasca, dove ha lavorato bene due anni e ha conquistato una promozione in Lnb. Ma non va dimenticato che con i Rockets non c’era la benché minima pressione e l’ultimo posto, pur in rimonta, non è costato né spareggi né retrocessione. In Lna il discorso è diverso e occorrerà essere forti in autunno e in inverno, per magari poi lottare per la salvezza al cospetto della primavera.

Si deve partire dal presupposto che sarà ben difficile fare peggio rispetto alla stagione appena conclusa. Cereda appronterà il suo staff tecnico e magari l’Ambrì tornerà anche ad avere un preparatore atletico all’altezza della situazione. La condizione fisica di una squadra più debole delle altre non deve essere approssimativa, come è stata nelle ultime stagioni. Altrimenti le pecche salgono inesorabilmente a galla. Sarà difficile fare peggio ed è già qualcosa.

Duca ha detto che ci saranno alcuni giocatori esperti, quattro stranieri forti, tanti giovani e un portiere. Ecco, già si mormora il nome di Benjamin Conz. Che rischia di diventare l’ennesimo esempio del giocatore che l’unico contratto in A lo troverebbe ad Ambrì, come è successo spessissimo in questi anni. Con i risultati lì a parlare. Conz è stato di gran lunga il portiere meno efficace della scorsa stagione regolare (l’unico al di sotto del 90% che rappresenta la canonica sufficienza). E questo dovrebbe contare. Conz è da sempre un portiere sopravvalutato, anche negli ingaggi. Si parla in effetti di una richiesta attorno al mezzo milione di franchi, fatta a Zanatta che già lo aveva contattato. Per farla breve, Conz è quasi al punto che dovrebbe pagare lui per ottenere un contratto in Lna. Quindi non si cominci con un errore di valutazione in una posizione tanto importante.

Interessante sarà ora sentire cosa si tuonerà nel segno dello straripante ottimismo, a Giornico.

E se fosse davvero tempo di scendere?

Fra meno di una settimana, andrà a concludersi l’annata contabile delle società di hockey. Vale a dire che la stagione 2017-18 inizierà ufficialmente il primo maggio. L’Ambrì Piotta ha purtroppo appena concluso l’esercizio sportivo 2016-17, così che i tempi sono stretti. Tanto più che avere conquistato la salvezza solo a metà aprile ha ulteriormente complicato le cose.

Nella situazione di terrore in cui si era venuta a trovare la società (l’odore di retrocessione stavolta era fortissimo) ci si è sbilanciati a dire che in caso di salvezza si sarebbe voltata pagina. “Ci metteremo in discussione tutti”, si è tuonato buttando per aria la cenere per cospargersi il capo, àl termine di un carnevale che durava ormai da anni e in aria di quaresima.

Appare tuttavia un po’ sospetto che si sia immediatamente deviato il discorso sulla nuova pista, su costi, soldi che mancano e bla bla e bla bla. Come dire, sappiate che noi vogliamo cambiare direzione alle cose, ma senza la pista non si fa niente. E se poi andasse a finire che a pagare il conto sia ancora una volta il settore giovanile? I soldi vanno investiti prima di tutto nella pista, i cui costi del progetto continuano a lievitare senza soluzione di continuità. Mentre i finanziamenti sono praticamente poco oltre quelli pubblici per smantellare la vecchia Valascia.

L’Ambrì vuol darsi un futuro ma continua a immaginarselo senza tenere conto del presente e soprattutto senza costruire nel presente quello che sarà il futuro. La pista servirà alla prima squadra, che si vorrebbe formata da sempre più giovani cresciuti in casa. Ma si investe sempre meno sulla loro formazione, nascondendosi dietro il progetto Biasca che funziona, ma che a sua volta va sostenuto con i giovani.

Si dice che la pista nuova potrà finanziarsi da sola. Ma di fatto potrà sopravvivere solamente se andrà in porto il progetto ben più ambizioso degli investitori kazaki, magnati del gas, che hanno acquistato il Sanatorio per farne un’Accademia internazionale di hockey. Un’Accademia che non sarà per i giovani ticinesi (costi di iscrizione riservati a milionari) ma che avrà bisogno di parecchio ghiaccio. Ma, se andrà in porto, questo progetto sarà realizzato sicuramente ben dopo il 2020.

La vera soluzione economicamente sostenibile per l’Ambrì Piotta sarebbe quella di costruire il nuovo stadio verso Bellinzona. Costerebbe meno, sarebbe più facilmente finanziabile e sul piano sportivo permetterebbe ai giocatori di allenarsi vicino a casa, a gran parte dei tifosi di accorciare le trasferte.

Parecchi sono infastiditi da questa prospettiva. Si perderebbe l’identità di squadra di montagna (vero), ci si allontanerebbe dalle radici della storia di questo club (vero). Tuttavia, se questa dovesse essere la soluzione che più di ogni altra permetterà all’HCAP di averne ancora di storia, probabilmente anche i più recalcitranti arriverebbero alla fine a comprendere. Per il resto, non è più vero che l’Ambrì è un’azienda che fa vivere l’Alta Leventina. Intanto, lo spostamento dello stadio vicino all’autostrada finirebbe per uccidere i ritrovi pubblici superstiti, tanto più che rafforzando la ristorazione in pista già si andrebbe in quella direzione. Inoltre, soldi in Valle l’Ambrì ne lascia ben pochi, con i rifornimenti che arrivano da sotto il Ceneri o da oltre confine. Per quanto concerne la Valascia attuale, potrebbe tornare utile all’eventuale Accademia di cui sopra, e magari anche al settore giovanile.

L’Ambrì Piotta deve fare i conti con i tempi che corrono e con i costi che lievitano. Continuare cocciutamente a portare avanti progetti al di sopra delle possibilità reali e contro una logica conseguente (come insegnano questi ultimi disgraziati anni di gestione trallallero) non potrà che far rimanere la società con il fiato corto. Finché non ci sarà più ossigeno.

Scendere di qualche chilometro lungo il corso del Ticino (che si sbandiera “biancoblù”) permetterebbe probabilmente di scendere a meno compromessi da nodo scorsoio.

Uomini, identità e identificazione

Il Berna che diventa campione, l’Ambrì che cambia direttore sportivo, nell’hockey; il Basilea che cambia politica societaria per rilanciare il progetto nel suo insieme, nel calcio. Tre notizie degli ultimi giorni che hanno avuto quale comune denominatore l’identità e l’identificazione.

Il primo in ordine cronologico è il Basilea, che domina incontrastato la scena nazionale ma che ha perso un po’ di smalto sul piano internazionale. Allora si decide di cambiare qualcosa. E, mantenendo alti gli investimenti, si punta sull’identificazione nel club, nella maglia. Il progetto del rilancio è affidato a tre ex giocatori (Marco Streller, Massimo Ceccaroni e Alex Frei), che alla prima uscita pubblica annunciano che non si andrà avanti con l’allenatore zurighese Urs Fischer, e si punterà sul ritrovare una continuità tra il settore giovanile e la prima squadra. Insomma, si cercherà di ricominciare a produrre e lanciare i talenti in casa. Cosa un po’ abbandonata ultimamente. Il campionato svizzero è stantìo e qualcos’altro andrebbe cambiato, a cominciare magari dall’aumentare il numero di squadre.

Che è superiore persino nel campionato di hockey, che ha una base ben più ridotta, ma che dà più spazio ai giocatori svizzeri. Il Berna, come il Basilea, è la squadra che investe di più. Lo SCB genera una cifra d’affari che si aggira sui 60 milioni di franchi, compreso il controllo di tutti i ristoranti e spacci nello stadio e attorno allo stadio dell’Allmend. Più di un terzo di questi soldi vengono investiti nella prima squadra e nella formazione. In questa stagione, ancor più che nella precedente che pure era sfociata nel titolo, un elemento apparso determinante è stato quello dell’identificazione dei giocatori nel progetto Berna. L’amalgama tra elementi di provata esperienza e giovani scaturiti dal vivaio ha funzionato al meglio. Probabilmente è anche frutto della coesione nata nel finale della passata stagione quando, dopo un campionato di basso profilo, gli Orsi hanno proposto dei playoff di alto rango, centrando il primo titolo per una squadra terminata ottava nella stagione regolare, e con un minimo ruolo rivestito dall’allenatore che li ha traghettati nel finale, Lars Leuenberger. Aver poi portato due tecnici di prestigio e personalità, quali Kari Jalonen e Ville Peltonen, ha poi ulteriormente fatto crescere un gruppo che non ha perso un colpo.

Infine l’Ambrì che, come era filtrato qualche settimana fa, ha fatto del capitano Paolo Duca il nuovo direttore sportivo. Duca prende il posto di Ivano Zanatta (seconda vittima del fallimento stagionale, dopo Hans Kossmann) con il compito di riportare identità e identificazione nell’Ambrì e attorno all’Ambrì. Ci vuole. La figura è certamente quella giusta, ma forse si è caricato il neo d.s. di troppe incombenze. Che sono le stesse affidate due anni or sono al suo predecessore, ossia gestione della prima squadra, del progetto Biasca Ticino Rockets, degli Juniores élite e di tutto il settore giovanile. Con il risultato che, alla prima difficoltà, Zanatta ha dovuto praticamente lasciar perdere gli Juniores e il settore giovanile. E, certamente, pur con tutti gli scongiuri del caso, non è che l’Ambrì di problemi non ne avrà più.

La missione salvezza comincia ora

Buon per l’Ambrì che la salvezza, anche se un po’ tirata a causa delle scarse doti offensive della squadra, è arrivata in fretta nello spareggio con i campioni di B. Adesso non c’è troppo per soffermarsi a festeggiare e occorre cominciare a ricostruire con realismo. È finito il tempo dei voli pindarici delle assurde promesse da playoff. Un passo alla volta e su sentieri preparati e conosciuti.

Paolo Duca sarà il nuovo direttore sportivo e a lui toccherà scegliere il nuovo staff tecnico. Gordie Dwyer potrebbe essere una soluzione. Non tanto perchè il canadese ha portato l’Ambrì alla salvezza, ma perché ha avuto il coraggio di guardarsi intorno e di puntare anche sui giovani, cosa che in Leventina da un pezzo non era cosa abituale. E questo è un lavoro che necessita di continuità. Duca ha avuto modo di conoscere il coach e saprà meglio lui di chiunque altro se è l’uomo adatto e se lo sono anche i suoi assistenti.

Certo è che non si può affrontare un processo di ricostruzione senza un importante impulso alla formazione che, dopo averla quasi ridotta in frantumi, va puntellata e rilanciata. Non basta crogiolarsi sulla bella realtà dei Rockets di Biasca – che fra l’altro hanno contribuito a lanciare anche giocatori da playoff di LNA quali Fazzini e Riva ad esempio, perché non va dimenticato che c’è dietro anche il Lugano -, ma bisogna preparare anche il loro di futuro, I tre anni di non retrocessione assicurata passano in fretta.

Gli Juniores élite saranno affidati a Diego Scandella, che in passato questo tipo di lavoro lo ha già fatto molto bene. Ma anche scendendo le varie categorie servirà maggiore attenzione e cura nel preparare i ragazzi.

In parole povere, è magari ora che dalle parole, appunto, si passi ai fatti concreti. Per poi forse accorgersi che badando al sodo si spenderanno anche meno soldi per mandare avanti una società la cui squadra ammiraglia è costata troppo soprattutto perché negli ultimi anni ha dovuto andare a pescare tra gli scarti altrui offrendo contratti eccessivamente generosi.

Potenziale svolta

Sarebbe stato un peccato se la dirigenza del Lugano non avesse dato fiducia piena a Greg Ireland. Il tecnico canadese è umilmente approdato un paio di volte alla Resega e ha svolto il suo lavoro con buon successo. La prima con un’agevole salvezza nei playout, la seconda portando in semifinale una squadra che all’inizio dell’anno pareva destinata a un mesto fallimento.

Ireland ha portato soprattutto ordine e serenità in un gruppo di giocatori dotati anche sopra la media ma poco avvezzi alla lotta (salvo note eccezioni). Ha ottenuto da loro probabilmente il massimo che potesse ottenere prendendo le redini in corsa. Ha fatto un buon lavoro.

Ora sarà per certi versi più difficile farsi seguire dal gruppo fin dall’inizio, ma Ireland pare sappia bene il fatto suo, e per il Lugano potrebbe davvero essere il momento di una svolta decisiva. Ireland è un allenatore certamente meno patinato rispetto alla maggior parte dei suoi predecessori, ma la sua umiltà e la palese cultura hockeistica senza troppi fronzoli sono forse gli ingredienti per trasformare una realtà che negli anni si è guadagnata la fama di approdo per talentuosi (e presuntuosi) perdenti in qualcosa magari di meno glamour ma più concreto e vincente.

Fortuna che il Langenthal è più debole

Il discorso è semplice: l’Ambrì è debole, il Langenthal è più debole dell’Ambrì. Il basso profilo dei contendenti permette alla serie di rimanere incerta, nonostante si sia sul 3-0 e i giochi siano quasi fatti. Questo è un bene per i leventinesi, che non sfiorino neanche la tentazione di pensare di essere superiori e ad agire in tal senso. La salvezza è a un passo, magari due se si arriverà (poco probabile) a sabato.

Non è ancora tempo di bilanci, ma sarà meglio che dalle parti della Valascia si pensi velocemente e si agisca di conseguenza, se si vorrà evitare una nuova stagione-incubo. Ad esempio, non è normale che siano i giocatori del Biasca a permettere all’Ambrì di tenere alto il ritmo e testa ai bernesi. Al dilà delle questioni meramente tecniche, è chiaro che qualcosa non ha funzionato, e non funziona, da troppo tempo, nella preparazione fisica. Di fatto i Rockets diventano protagonisti soprattutto perché si sta giocando uno spareggio contro una compagine di Lega cadetta, ridotta all’osso dagli infortuni e quindi a maggior ragione affaticata dalla lunga stagione. Ma sono protagonisti anche perché sono stati preparati meglio alle fatiche a lungo termine.

Occorrerà essere molto più professionali e conseguenti a partire dal mese di maggio, quando si metteranno le fondamenta. E questo è solo uno degli aspetti. Ma, intanto, c’è l’ultima vittoria da mettere in tasca. Fin lì bisognerà pensare a questa disastrata stagione.

Segnali “rossi”

Soffermandosi un momento su quello che sta succedendo ad Ambrì, si stanno profilando similitudini con la stagione 2010/11, quella che si risolse con la salvezza ottenuta nello spareggio di promozione-relegazione con il Visp. Se le similitudini portan bene, i biancoblù sono a cavallo.

Sei stagioni orsono, alla transenna dei leventinesi c’era il discusso Kevin Constantine, il rosso del Minnesota. Questi giunse in corso d’opera a rilevare Benoît Laporte, che non riusciva più a cavare un ragno dal buco. L’aspetto che, più degli altri, distinse Constantine da ognuno dei suoi predecessori fu quello di fare ricorso alle risorse di seconda scelta a disposizione del club, ossia i giocatori appartenenti ai partner-team e quelli che erano sparsi in prestito qua e là per la Svizzera. In effetti, l’allenatore americano si affidò anche a giocatori che a quel tempo giocavano anche nel Chiasso in Prima Lega (che passò poi la licenza al Biasca) e, guarda caso, a segnare il gol che determinò la salvezza dell’Ambrì – nella quinta partita della serie al meglio di 7 con i vallesani – fu proprio uno di questi, Joey Isabella.

Gordie Dwyer, giunto in Leventina a rimpiazzare Hans Kossmann, ormai abbandonato a sé stesso, ha vent’anni meno del suo citato predecessore, non è americano ma canadese. Tuttavia ha i capelli rossi come Constantine, è un vulcano borbottante come lui e fa affidamento sui rincalzi fatti in casa, o quasi. Così si affida senza timore ai Goi, ai Trisconi, agli Stucki, e ora anche ai Hrabec, prelevati dal Biasca fresco di campionato da neopromosso in Lega Nazionale B. Non è una promessa di carriera per questi giocatori (almeno stando al precedente del 2011), ma possibile fonte di un po’ di gloria sì. E se porteranno ai risultati del 2011, chissà che non vada meglio a loro, per il futuro.

Quasi fatta

Sarà magari solo un’impressione ma questo ambizioso Langenthal pare più debole persino di quello che cinque anni or sono già affrontò l’Ambrì Piotta in una sfida simile. Tira molto ma in maniera piuttosto disordinata e talvolta forzata. Ha un portiere nella media e dunque non sufficiente per fagli vincere le partite e segna poco. Anche l’Ambrì segna poco, ci riesce ultimamente su rimbalzi fortunosi, ma nel complesso ha maggiori margini di miglioramento. Il problema attuale è la presenza di soli due stranieri, il che abbassa di molto una percentuale realizzativa già bassa. Inoltre c’è il pericolo che torni a manifestarsi la preparazione fisica approssimativa, che potrebbe non far bastare il vantaggio di essere a due vittorie dalla salvezza, mentre il Langenthal rimane a quattro vittorie dalla promozione. E qui forse può tornare a vantaggio dei leventinesi l’avere altri stranieri da alternare.

Sarà evidentemente di capitale importanza vincere anche martedì alla Valascia. Ma è quasi fatta.

Primo passo verso il futuro

L’Ambrì ha faticato ma, ed è quel che conta, ha vinto la prima partita della serie in cui cerca la salvezza contro il Langenthal. La squadra di Dryer continua a mostrare notevoli limiti e assenza di veri e propri leader, ma oggettivamente il Langenthal non è parso in gara 1 come lo spauracchio che era stato dipinto. E nella prima partita i bernesi non hanno veramente dato l’impressione di una squadra che sta lottando per la promozione, soprattutto al cospetto di un avversario tanto malmesso.

La serie dirà.

Intanto da Ambrì continuano a uscire spifferi dagli spogliatoi e già si parla della partenza di Ivano Zanatta, che dovrebbe tornare a lavorare in Khl. Evidentemente la sua posizione in Leventina si è parecchio indebolita lungo l’arco della stagione e sulle sue spalle pesano le scelte tecniche di un campionato disastroso.

Tanto più che la sua successione è già bell’e pronta all’interno della società. In effetti, a partire dal prossimo mese l’incarico dovrebbe passare nelle mani di Paolo Duca, capitano di lungo corso sul ghiaccio e dunque futuro gestore della ricostruzione sportiva dell’Ambrì. Per il momento, il trentacinquenne asconese si preoccupa però di contribuire a darlo un futuro sportivo alla squadra.

Salvezza vitale

Sarà dunque il Langenthal a sfidare l’Ambrì nello spareggio di promozione-relegazione. O sarebbe forse più giusto dire che sarà l’Ambrì a sfidare il Langenthal? Poco importa. C’è in gioco parecchio per la squadra della Leventina, valle con la quale ha ormai in comune solamente la pista dove gioca e si allena.

Perdere questo spareggio comporterebbe il rischio di sparire per l’Hcap. La speranza più grande di salvare il posto è in effetti legata più all’eventuale rinuncia alla promozione da parte dei bernesi, più che alle doti hockeistiche dei biancoblù.

Per dirla tutta, l’Ambrì Piotta sopravvive a sé stesso da almeno un decennio. L’opera di smantellamento di una realtà che rappresentava una certa cultura nel mondo dell’hockey svizzero è iniziata parecchio tempo fa. Sul piano finanziario è ormai consuetudine che la società sostiene economicamente in gran parte la stagione precedente con i soldi ricavati attraverso la campagna abbonamenti per quella successiva. Spesso poi, al termine di ogni stagione, sono interventi straordinari a salvare baracca e burattini. Non si contano negli ultimi anni i ricorsi a varie forme di elemosina, giustificandola con il sostegno a una realtà periferica che valorizza un territorio, attraverso il famoso indotto, e contribuisce alla crescita dell’hockey ticinese e svizzero attraverso la formazione.

Queste sono due realtà ormai irreali. L’indotto è minimo ed è inutile stare ad elencare dove l’Ambrì vada a fare la spesa per i suoi spacci e dove sono andati ad abitare la stragrande maggioranza dei giocatori e rispettive famiglie. Senza dimenticare che con l’arrivo dell’ipotizzata nuova pista sul campo d’aviazione, anche i ristoranti finora sopravvissuti rischieranno di sparire.

La pista bottiana è ormai diventato il coperchio buone per tutte le pentole, ma non è ancora totalmente finanziata, né potrà fare a meno dell’altrettanto ipotizzata accademia kazaka, della quale si sente sempre meno parlare, ma che sarebbe indispensabile per mantenere il nuovo stadio.

Uno stadio che, nel caso in cui arrivassero i talenti ricchi da Russia e dintorni, non sarà certo teatro di allenamenti riservati al settore giovanile dell’Ambrì.

E qui si arriva alla formazione, aspetto peraltro ignorato per troppi anni da una società che si è spesso nascosta dietro lo schermo della formazione. I ragazzi sono stati abbandonati a loro stessi per troppo tempo e si sono persi talenti per strada, si rischia di perderne altri e il livello medio degli allenamenti è scaduto per numero e livello dei giocatori. Un tempo, i giovani venivano da tutta la Svizzera fino ad Ambrì per imparare l’hockey (si pensi ai Du Bois, ai Demuth, ai Burkhalter…), ma anche dall’estero (gli svizzero-canadesi o -americani, i giovani dell’Est). Perché allora c’era una dirigenza con una visione e si investiva sulla formazione. Oggi l’Ambrì fatica a reperire giocatori nelle annate scarse, perché nessuno vuol più venire in quanto il settore giovanile ha perso vieppiù prestigio. In questa stagione i risultati sono stati scarsi in tutte le categorie e la grande scoperta del club leventinese è stata quella, attraverso chi manda avanti il settore, di dar la colpa ai ragazzi stessi. C’è da vergognarsi.

Alcuni, soprattutto in Valle, pensano che scendere in B sarebbe un toccasana, un modo per far spazio ai giovani. E lo pensano soprattutto perché non si identificano più in una squadra che da parte sua non si identifica più col posto dove gioca. Ma la realtà è che se, magari giocheranno più giovani ticinesi, la B finirebbe per decretare la fine dell’Ambrì.

Quindi l’Ambrì ha bisogno vitale di salvare il posto in Lega Nazionale A. Intanto perché non riuscirebbe più a finanziare una squadra di professionisti per mancanza di interesse da parte di sponsor che già scuciono poco. E poi perché ha bisogno di ripartire da una realtà di alto livello per cominciare a fare pulizia al proprio interno e a rilanciare davvero una realtà che abbia a che fare con la storia dell’Ambrì e il prestigio che l’ha accompagnato per decenni. Piantandola di riempirsi solamente la bocca con dei concetti astratti.

L’Ambrì ha pochi mezzi tecnici da vantare. Il discorso da fare ai giocatori sarebbe quello di cercare identità e identificazione per creare i presupposti della salvezza. Altro che allenarsi di nascosto.

A porte chiuse

Tirato un sospiro di sollievo con la salvezza agguantata in extremis dagli Juniores élite (grazie alle tre vittorie casalinghe nella sfida promozione-relegazione, al meglio di cinque, con il Rapperswil), ad Ambrì ci si prepara alla battaglia per la salvezza contro i campioni di LNB. Che potrebbero essere ancora i Lakers, che hanno pareggiato la serie con il Langenthal. Il nome dell’avversario si saprà domani sera, dopo la decisiva settima partita di finale.

Intanto alla Valascia non è che regni la serenità. Da una parte si rischia di perdere la concentrazione pensando che se vince il Langenthal, magari, rinuncia a giocarsi la promozione; dall’altra sono stati imposti allenamenti a porte chiuse. E chissà quali segreti potrà mai nascondere Dwyer, con quel suo gruppo di giocatori in stato semidepressivo che, da quando è arrivato lui, hanno saputo vincere una sola partita di quelle che contavano? In effetti, salvo che per l’ultimo confronto casalingo dello spareggio salvezza con il Friborgo (peraltro non giocato dalla squadra di Huras), i leventinesi hanno perso tutte le partite che potevano significare un miglioramento effettivo della situazione.

C’è ben poco da nascondere a occhi indiscreti. Stranieri ne potranno essere schierati solamente due e, per quanto visto in quest’annata, due riescono a malapena a rendere per uno. Quanto agli altri, bisognerà che cambi qualcosa soprattutto sul piano dell’attitudine, piuttosto che sul piano tattico. Dato che neanche il portiere dà ormai poche certezze, probabilmente l’Ambrì dovrà affrontare l’eventuale battaglia per salvarsi con l’intento di non perdere, piuttosto che con quello di vincere.

Perché forse il nodo della questione sta proprio nel fatto che, distratti dagli obiettivi societari, i giocatori biancoblù hanno vanamente atteso per mesi che si verificasse l’ipotesi buttata lì senza criterio da dirigenza (e anche buona parte della stampa) che la squadra fosse la più forte dell’ultimo decennio. E quindi via a puntare su un talento che non c’era e ancora non c’è. Nello spareggio conterà prima di tutto l’umiltà di chi sa di essere potenzialmente più debole. Non si scappa.

Perdere e perdere

È finita per il Lugano e continua per l’Ambrì, ma si tratta della stessa cosa. Sconfitte.

Il Lugano di Greg Ireland ha dimostrato di essere una squadra da playoff. Una squadra. Se il Berna vince in cinque partite è solamente perché il Berna nell’insieme è più forte, ma in gara 5 avrebbe meritato di vincere il Lugano. Considerando la modesta stagione regolare, il Lugano chiude alla grande e lo deve in buona parte anche agli equilibri che ha saputo trovare un allenatore che magari la prossima stagione si troverà a lavorare in qualche lega minore nordamericana, per lasciare il posto a un “nome” fine a séstesso.

L’Ambrì invece andrà a giocare lo spareggio con il campione di Lega B e lo farà da squadra debole, in verità poca squadra e con un allenatore che dà sempre l’impressione di essere lì per caso. Certo, la speranza è sempre l’ultima a morire, ma lé

l’Ambri Piotta di questa stagione è davvero debole e composto da una parte troppo importante di giocatori che non hanno niente a che vedere con quello che è la storia, la tradizione e la maglia dell’Ambrì.

Instabilità destabilizzata

Insomma, sono i giornalisti e i tifosi arrabbiati a destabilizzare la squadra dell’Ambrì in questa delicata fase della stagione. Lo dice il presidente Lombardi, che se ne intende. Tutto perché qualcuno ha pubblicato una notizia che è sfuggita ai filtri interni (e mica solo a Zurigo lo sapevano, presidente), ossia che poco meno di una settimana fa era pronta la soluzione Cereda. Non se ne è fatto nulla solo per timore di dover smontare tutto l’apparato dello staff tecnico e mettere finalmente in dubbio l’intera gestione della stagione 2016/17.

Se appena si guardasse attorno e soprattutto alle spalle e a quanto successo negli ultimi otto anni, magari il presidente troverebbe veramente chi è all’origine di questa situazione instabile per conto suo. Altro che destabilizzata dall’esterno. La teoria del complotto è un po’ troppo campata in aria. La società è allo sbando. I Novizi élite hanno perso la categoria e il responsabile del settore giovanile ha dato di matto, accusando i ragazzi. Gli Juniores élite stanno lottando con il Rapperswil per mantenere la categoria, e probabilmente la prima squadra farà lo stesso a partire dalla prossima settimana.

A meno che, fra stasera e martedì prossimo, non accada il miracolo. A cancelli della Valascia aperti e si spera anche a porta (del Friborgo) aperta.

Depressione biancoblù

Rimesso il difensore straniero, sabato a Friborgo l’Ambrì ha incassato meno, ma alla fine ha ancora perso. Mancano le qualità, e manca soprattutto la serenità. La situazione rimane confusa anche perché la fiducia ripromessa allo staff dopo l’1-6 casalingo di giovedì non ha certo fatto l’unanimità all’interno del consiglio d’amministrazione, dove si ventilava di rimescolare ancora una volta le carte per dare una svegliata al gruppo. Addirittura è mancato un niente che a Friborgo l’Ambrì ci andasse ieri con un coach ticinese alla transenna, e non è difficile immaginare chi. Ma non se n’è fatto nulla per il momento e la cosa dovrebbe tornare d’attualità se Dwyer e colleghi non riusciranno a evitare lo spareggio di promozione-relegazione.

Intanto, più sotto, i Novizi élite di Mauro Juri hanno perso la categoria (riconquistata giusto un anno fa), nonostante una classifica di partenza che li vedeva con quattro punti gia contabilizzati, mentre le tre squadre avversarie partivano da zero. E anche qui il mancato risultato è dovuto tutto alla completa assenza di serenità nel gestire la situazione. A parte il 7-3 finale incassato a La Chaux-de-Fonds (promosso), decisivo è stato il punto concesso nella penultima partita, vinta solo nel prolungamento (8-7!) contro l’Innerschwyz, a cui i leventinesi hanno concesso l’unico punto di questo torneo, che ha peraltro visto salvarsi i Gck Lions.

Sta invece conducendo 2-1 la serie al meglio di 5 la compagine degli Juniores élite di Pauli Jaks, che disputa lo spareggio di promozione-relegazione con il Rapperswil.

Prima che sia troppo tardi

La situazione è ormai fuori controllo e si profila sempre più reale la possibilità che l’Ambrì Piotta torni in Lega Nazionale B dopo oltre trent’anni. La sfida per la salvezza contro il Friborgo è ormai persa, tanta è la superiorità manifestata dalla squadra di Larry Huras, pur tra molti momenti di eccessivo rilassamento. Quella di promozione-relegazione che si sta concretizzando con i campioni di B (probabilmente Rapperswil) appare a ruoli invertiti quanto a favori di pronostico determinati dalla categoria.

Gli errori si accumulano agli errori e ora si ventila di correre ai ripari cambiando un allenatore che non andava neanche ingaggiato. La sua posizione debole l’ha confermata lui stesso soffermandosi a rispondere a una domanda sull’eventuale perdita di carisma sui giocatori. Un coach di personalità non avrebbe neanche fatto finta di rispondere.

L’Ambrì non funziona e i difetti vengono da lontano, dallo squilibrio tra partenze e arrivi, alle incertezze nella gestione della conduzione tecnica e anche dall’affidare la preparazione fisica a un allenatore non all’altezza della categoria. Si è pescato nel Biasca per cercare soluzioni improbabili e dopo le inutili partite del finale di stagione regolare, sono venuti immediatamente a galla i limiti di giocatori che hanno disputato un buon campionato cadetto, ma non certo di alta classifica.

Oltretutto, l’Ambrì sembra non avere neanche una confortevole certezza riguardo all’efficacia dei propri portieri, e la cosa è alquanto preoccupante da sola.

Molto probabilmente, il solo modo per cercare di risolvere positivamente questo momento di depressione più totale, sarà quello di fare in modo che siano i giocatori più esperti a prendere in mano la situazione, assumendo finalmente per queste ultime settimane di campionato quel ruolo di leader che è mancato per tutta la stagione.

Senza consigli d’amministrazione negli spogliatoi a farsi spiegare cose che non capiscono.

Prima che sia – definitivamente – troppo tardi.

Dai portieri agli obiettivi

2014.10.13.02.04.129070

Pare persino banale, ma a fare la differenza sono, in questi playoff, soprattutto i portieri. In particolare, finora, il più influente è stato Elvis Merzlikins. Il lettone è, tra tutti quelli impegnati nei playoff, quello che ha dovuto far fronte al maggior numero di tiri verso la propria porta. Evidentemente è anche quello che ha dovuto effettuare più parate per mantenere vincente la propria squadra. Non è il migliore in assoluto, perché Tobias Stephan sta parando di più in percentuale, per lo Zugo. Considerando però i risultati ben più tirati con i quali è finora stato confrontato il Lugano nelle sette partite di playoff finora giocate, Merzlikins è al momento più decisivo. Il che rappresenta al tempo stesso un privilegio e un limite per il Lugano.

Delle quattro compagini ancora in corsa per il titolo, il giovane Gilles Senn del Davos è il portiere meno performante. Ma la sua efficenza rimane entro limiti sopra la media il che, considerata l’efficacia offensiva del Davos, potrebbe risultare determinante per spingere la squadra di Arno Del Curto verso un ennesimo titolo.

Sta di fatto che per il momento, però, a fare un passo verso la finale sono stati un Lugano sempre più operaio e uno Zugo si rivela nel complesso la realtà più solida dell’intera stagione.

Nei playout appare chiaro che l’Ambrì Piotta ha perso qualsivoglia punto di riferimento e il cambio di allenatore si sta rivelando pressoché disastroso. Ben difficilmente a questa stregua i leventinesi riusciranno a evitare lo spareggio di promozione-relegazione.

E l’avversario rischia fortemente, e pericolosamente, di essere il Rapperswil, che ha vinto in trasferta la prima partita di finale con il Langenthal (tra l’altro con il portiere Nyffelerer tra i protagonisti). La società sangallese, malgrado l’inopinata retrocessione di due anni or sono, ha pianificato il proprio futuro e la propria rinascita sul piano generale. Non a caso due stagioni or sono ha conquistato il posto nella categoria Novizi élite (U17) e in questi giorni sta cercando la scalata alla massima categoria Juniores (U20) in uno spareggio di promozione-relegazione con… l’Ambrì Piotta (che fortunatamente ha vinto in casa la prima partita di una serie al meglio di 5).

Quando si dice porsi degli obiettivi e lavorare di conseguenza.

Quando il gioco si fa duro…

BrEhb38CEAAdPUo

Ancora una volta, dopo un campionato da oltre cento punti, gli Zsc Lions stanno gettando l’opportunità di capitalizzare i grossi investimenti che costantemente arricchiscono la propria squadra di punta. Potrebbe però essere che ad arricchirsi siano soprattutto i giocatori. I quali perdono però di vista uno degli aspetti essenziali dello sport, e soprattutto dell’hockey che è quello di appoggiare con la forza fisica le qualità tecniche.

Non si finirà mai di ripetere che il talento da solo non basta. A maggior ragione se, come ricordava il compianto John Belushi nei panni del John Blutarsky di Animal House, “quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare”. Quando il gioco si fa duro gli Zsc Lions sembrano invece evitare di immischiarsi alla faccenda.

Un’attitudine che sovente era stata in anni passati quella del Lugano. Ma ora non è così. Il Lugano è in vantaggio nella serie e a una vittoria dal passaggio del turno grazie all’agonismo individuale e collettivo che mette in ogni partita contro un avversario che gli è tecnicamente superiore. A cominciare dal portiere e passando uno per uno tutti i giocatori, i bianconeri non concedono niente, a costo di tumefazioni da discate e da cariche virili.

La quinta partita della serie che ha portano il break a favore della squadra ticinese è stata l’emblema dell’attitudine che i contendenti portano sul ghiaccio. Vedere un Klasen che va a difendere con la foga di un principiante beccandosi 2′ di penalità per carica con il bastone riesce a dare l’idea di cosa sia riuscito a cambiare nella chimica della squadra Greg Ireland, con pochi accorgimenti. Il più importante dei quali è stato trovare la chiave per unire il gruppo nel sacrificio collettivo nell’intento di raggiungere l’obiettivo.

Magari non sarà sufficiente per andare molto lontano, poiché alla fine i bianconeri vincono soprattutto difendendosi a denti stretti (19 tiri bloccati da giocatori, contro i soli 3 dei Lions), ma sta facendo ben più di quanto ci si aspettasse neanche un paio di mesi or sono. Ed è un Lugano che non può non piacere a chi apprezza l’hockey.

Il Lugano sembra aver imparato dai propri errori, mentre gli Zsc Lions continuano a sguazzarci dentro, nonostante lo scorso anno furono umiliati dal Berna da vincitori della stagione regolare.

Scelte opportune e meno

Zanatta

I cambi d’allenatore di Lugano e Ambrì Piotta sono esattamente speculari. Se l’uno era la probabile soluzione, l’altro era la probabile inutilità. A Lugano i giocatori di qualità ci sono stati fin dall’inizio della stagione (e dunque il problema poteva essere che Shedden non era più in grado di governarli al meglio); ad Ambrì la fallimentare campagna trasferimenti aveva indebolito a tal punto la squadra che il povero Kossmann è caduto in depressione anche lui.

La famosa e fumosa vittoria leventinese nel derby del 4 febbraio (4-1) aveva illuso più di uno che Dwyer, catapultato lì a far più che altro da spettatore quella sera, fosse il salvatore. Due settimane dopo il 5-0 ottenuto dal Lugano sullo stesso ghiaccio della Valascia ha diradato il fumo di cui sopra.

A distanza di oltre un mese da quel primo derby fra Ireland e Dwyer, il primo, dopo avere messo un po’ ordine, sta conducendo il Lugano in una serie di quarti di finale dei playoff contro gli Zsc Lions. Il secondo è dal canto suo piombato insieme a tutta la squadra in una situazione persino peggiore di quella che aveva trovato al suo arrivo.

È pur vero che a Lugano a far la differenza al momento è soprattutto il portiere Merzlikins, ma Ireland ha saputo valorizzare anche altre peculiarità della squadra, inducendo gli svedesi a lavorare di più ed elevando la fiducia negli svizzeri. Il che porta a valutare in ogni modo positivo il cambio di coach in casa bianconera.

Dwyer non ha per contro lasciato alcuna impronta finora. Non avrebbe potuto anche perché è in fondo un allenatore con poca esperienza e pochi risultati tangibili. La scelta in questo caso è stata sbagliata. Da Zagabria, dove è andato a pescare il coach, il club biancoblù avrebbe fatto meglio a riprendersi Alexandre Giroux, uno mandato via con un po’ troppa fretta, che magari poteva contribuire a risolvere il problema dei gol che non arrivano.

Quanto al ruolo di coach, probabilmente si sarebbe dovuto optare un’altra volta per una soluzione interna. Ma non quella assurda di cambiare l’assistente. Zanatta a questo punto avrebbe dovuto assumersi in tutto e per tutto la responsabilità. Richiamando magari Scandella al suo fianco e diventando lui il coach a tutti gli effetti, Anche perché in fondo questa squadra l’ha costruita lui.

Distrazioni e obiettivi

L’ennesimo passo falso dell’Ambrì Piotta nel suo accidentato cammino stagionale – la sconfitta casalinga con il Langnau in apertura di torneo playout – è per lo più stata sottolineata attraverso la prestazione positiva del ventunenne attaccante Noele Trisconi. C’è di che rimanerne perplessi.

Senza nulla togliere alle buone doti di Trisconi, come sovente accade ci si concentra su un aspetto marginale della questione. Intanto, se alla fine di una partita terminata 2-1 si premia come migliore giocatore della compagine sconfitta un attaccante c’è qualcosa che non quadra. Se poi questo giocatore è rimasto in pista meno di otto minuti la cosa perde ancora più senso.

Si carica insomma di inutile e mal riposta pressione un giocatore alle prime armi nella categoria, perdendo di vista la situazione reale. Ci si distrae dal nocciolo della questione.

Il problema di fondo sta nel fatto che l’Ambrì, visti i correttivi apportati alla formazione nelle ultime settimane, si sia “rinforzato” con giocatori prelevati nella categoria inferiore dal partner-team Biasca. Che, fra parentesi, ha chiuso all’ultimo posto la stagione regolare. A questo punto si è indotti a pensare perché mai, visto che c’erano questi talenti nascosti, non si sia pescato prima nella squadra di Luca Cereda?

Dato per scontato che la campagna trasferimenti dello scorso anno è stata fallimentare sotto tutti i punti di vista, rimane comunque il fatto che Dwyer si è trovato a disposizione oltre una ventina di professionisti con alle spalle quasi un’intera stagione di Lega Nazionale A, ma in realtà non sa fare meglio del suo predecessore Hans Kossmann. Tolta la vittoria nel derby d’esordio del tecnico canadese (indotta da un Lugano inguardabile) e quella nell’ultima inutile giornata di campionato, l’Ambrì di Dwyer è persino peggio del precedente. Il fatto poi che Dwyer metta da parte giocatori di esperienza, con i quali si dovrebbero invece cercare soluzioni di emergenza e a tempo determinato per vedere di risolvere la situazione, non fa altro che creare ulteriore pressione in uno spogliatoio che si può ben immaginare salti per aria ad ogni squillo di campanello.

Riassumendo, è sostanzialmente impossibile che l’Ambrì possa pensare di salvarsi dalla retrocessione affidandosi ai giocatori di LNB. Ma se questa si voleva fosse la soluzione, allora tanto valeva lasciare Dwyer dove stava, far concludere la stagione a Luca Cereda a titolo provvisorio per poi riaffidargli il progetto Rockets a primavera inoltrata.

Salvo sorprese

0f3afeab60

È tempo di pronostici e valutazioni. Arrivano i playoff e i playout di Lega Nazionale A. Se ne sentono e leggono di ogni sorta. La tendenza generale è sempre più quella di enfatizzare, a livello mediatico, per creare notizie e attese gratuite.

A tutti gli effetti, però, sono tre semplici concetti a fare la differenza in un senso o nell’altro nella fase cruciale della stagione: un portiere forte tecnicamente ma soprattutto mentalmente, una squadra organizzata e solida fisicamente, e un paio di tiratori scelti (sniper). Per quanto riguarda invece l’allenatore, se non sei l’Arno Del Curto o il Kevin Schläpfer di turno (per tacer di Chris McSorley), la figura è totalmente secondaria. Lo raccontata il compianto Peter Jaks, quando parlava del titolo vinto dagli Zsc Lions nel 2000: “Ma quale coach, che in panchina ci fosse o non ci fosse stato Kent Ruhnke, il titolo lo avremmo vinto lo stesso perché facevamo andare le cose con la forza del gruppo e delle nostre gerarchie interne”.

Non a caso quei Lions rimangono l’ultima squadra ad aver vinto due titoli di fila.

La stessa cosa si può dire del Berna della scorsa stagione, che l’impresa di vincere i playoff da ottavo classificato della stagione regolare non l’ha certo compiuta grazie a Lars Leuenberger. Ciò non toglie che il Berna di quest’anno potrebbe infine essere il club in grado concedere il bis. Ha il portiere più performante (Genoni), i miglior marcatore (Arcobello) ed è in grado di dominare fisicamente.

Il maggior antagonista potrebbe rivelarsi lo Zugo, per gli stessi motivi. I Lions sono, al solito, molto estetici, tecnicamente impeccabili, ma poco fisici. La sorpresa potrebbe essere il Losanna, le mine vaganti Davos e Ginevra. Il Lugano rimane un’incognita tra scarso rendimento degli stranieri e quasi totale dipendenza dal portiere.

Nei playout non ci saranno storie: Ambrì e Friborgo non potranno evitare lo spareggio dopo sei inutili turni. Il Friborgo ha migliori attaccanti (Sprunger e Cervenka), un allenatore scafato (Huras) e un consulente prestigioso (Slava Bykov). L’Ambrì dispone di un portiere migliore, ma al momento piuttosto confuso dal mercato. L’Ambrì non ha veri sniper, è suadra tutt’altro che solida e ha un coach depresso da una stagione di sconfitte in KHL proseguita da noi. Se non eviterà la sfida con i campioni di B, l’HCAP rischia fortemente la retrocessione.

Ogni sorpresa, sotto qualsiasi forma, manterrà allegri.

C’è da salvarsi e poi ripensare

135543_02

Questo finesettimana inizia la lotta-salvezza per tre delle quattro squadre ticinesi giovanili delle categorie élite, Juniores (U20) e Novizi (U17).

Tra i più grandi, Lugano e Ambrì Piotta, terminata la stagione regolare al penultimo e ultimo rango, rispettivamente, se la giocheranno con Friborgo e Langnau per sfuggire all’ultimo posto, che manderà allo spareggio con chi vincerà i playoff degli Elite B (probabilmente il Rapperswil).

La situazione in questo caso è abbastanza chiara. Benché i punti conquistati siano stati dimezzati, le due compagini ticinesi non potranno sfuggire a un duello per l’ultimo rango. In effetti, il Lugano ha 13 punti e l’Ambrì Piotta 11. Ce ne sono 18 in palio e il distacco dal terz’ultimo (Langnau) è di, rispettivamente, 12 e 14 lunghezze.

Nella categoria Novizi, a giocare per salvare la categoria (riconquistata appena un anno fa) sarà l’Ambrì Piotta, che ha chiuso al penultimo rango la stagione regolare. Una posizione che permette comunque ai giovani biancoblù di affrontare il torneo di promozione-relegazione (con i Gck Lions, ultimi, e due squadre dei Novizi Top) partendo con un bottino di 4 punti, mentre le altre tre squadre partiranno da 0. Certamente un vantaggio, ma attenzione che, lo scorso anno, a partire con 4 punti fu il La Chaux-de-Fonds, che alla fine fu superato da Ambrì e Gck Lions, promossi a scapito dei neocastellani e dell’Oberthurgau. Una delle squadre da affrontare sarà proprio il La Chaux-de-Fonds.

Considerando che i Novizi Elite del Lugano hanno chiuso all’undicesimo rango su 14 squadre, appare chiaro che l’hockey giovanile ticinese d’èlite sta conoscendo un momento critico. C’è sicuramente un fattore determinato dalle annate – alcune sono più o meno buone di altre – ma nei casi in questione se ne coprono ben cinque (giocatori nati dal 1997 al 2001) e allora c’è forse da riflettere se il lavoro, negli ultimi anni sia stato svolto con puntualità e conseguenza.

Si tornerà certo a parlare di riunire i settori giovanili a livello di categorie Juniores e Novizi, ma non sarebbe probabilmente una soluzione. Forsee si dovrebbe invece curare maggiormente il serbatoio che porta a queste due categorie (considerando anche i club minori), perché di ragazzini che giocano a hockey ce ne sono sempre di più, ma se ne perdono troppi per strada per scelte a volte lacunose e a volte, purtroppo, umorali. E, non da ultimo, per piccoli sgarbi tra allenatori.

Più che rimasti unici, valori perduti

Nella sua penitenza, in cui piange lacrime di coccodrillo dopo un’indigestione di frasi vuote e promesse vane, il presidente dell’Ambrì Piotta invita chi sta attorno alla società a unirsi per difenderla “nei suoi valori ormai rimasti quasi unici nel mondo dello sport moderno”.

Quali siano i valori rimasti unici nella storia dello sport moderno in seno all’HCAP è piuttosto difficile da stabilire. Praticamente impossibile.

In verità, l’Ambrì i suoi valori li ha persi da tempo. Gli sono stati frantumati dalla sconsiderata gestione politico-finanziaria del club. La rinuncia graduale a una formazione di qualità, per favorire operazioni di mercato scellerate, ne è l’esempio più lampante. Ad Ambrì si è pronti a calare le braghe di fronte a giocatori mediocri, scaricati altrove, offrendo contratti al di sopra delle possibilità della società e delle capacità dei giocatori stessi, per convincerli a difendere la maglia di una squadra di cui in fin dei conti a loro importa poco (a meno che non stia per scadere il contratto). Per convincerli a sposare un progetto inesistente e a sobbarcarsi un centinaio di chilometri al giorno in auto per gli allenamenti. Perché son ben pochi quelli che si adattano a vivere in Valle e chi non si cala fino a Bellinzona, abita magari anche al di là del Gottardo. Questo toglie un altro velo di valore, che era quello dell’identificazione geografica. Quella locale, che fa capire “i valori” anche a chi non parla la lingua.

Appare palese a chiunque che, in Ticino, i presidenti delle società sportive parlano troppo. Si sovraespongono, anche perché sovente sono tifosi annebbiati più che dirigenti oculati. Ci sono momenti poi nei quali sarebbe meglio tacere e cercare di salvare il salvabile cementando quel che sta all’interno dello spogliatoio e della società, senza tirare in ballo mezzo mondo, cercando di mimetizzarvici dentro.

Questo senza nulla togliere agli sforzi personali, lodevoli, ma che andrebbero indirizzati meglio.

Quel simpatico antipatico

zeman-per-supernews-1024x683

Zdenek Zeman è uno di quei personaggi fuori dal coro, ma che fanno epoca per la loro intelligenza acuta. Fa l’allenatore e l’altro giorno si è lasciato convincere a tornare su una panchina italiana di Serie A, a Pescara. Ci era già stato qualche anno fa, portando la squadra alla promozione dalla B e lanciando gente come Verratti, Immobile e Insigne, così per dire. L’hanno richiamato perché sono ultimi in A e vogliono rilanciare il progetto. Pronti, via e cinque a zero al Genoa. Che sarà pure in crisi, ma 5-0. È già un segnale.

Zeman è passato anche dal Ticino, la scorsa stagione, portando il Lugano alla salvezza e alla finale di Coppa. Ha lasciato il segno sul campo e anche nello scintillante mondo del giornalismo sportivo ticinese. Acuto e ironico, poco disposto alle conversazioni insulse, non ha mai perso occasione per tenere al loro posto chi doveva starci. E, naturalmente, ha sollevato l’indignazione e l’offesa tra quanti si credono superiori allo stesso sgabello sul quale dovrebbero star seduti e invece vogliono salirci in piedi.

Ben attenti a non criticarlo faccia a faccia quando era a Lugano, questi prodi si sono scatenati una volta saputo che se ne sarebbe andato. Lo hanno preso in giro coraggiosamente, gli hanno dato del maleducato presuntuoso. Hanno elevato il suo successore Andrea Manzo a gentiluomo (che ha dato di matto ed è stato squalificato) e allenatore senza pari (ma è già stato licenziato). A prescindere dal fatto che Manzo è una brava persona e un buon allenatore, quelli erano solo tentativi di sminuire il suo predecessore.

Il quale Zeman si ripresenta ora da lontano con un risultato sonante e sorprendente. Che magari sarà isolato, ma dà già fastidio al punto da scrivere da qua che non ci sono meriti, ma solo demeriti degli avversari.

E anche se, come dice lo stesso boemo “Non c’è nulla di male a essere ultimi se lo si è con dignità”, io spero che il Pescara si salvi. Così. Per simpatia dello Zeman “antipatico” a chi lui punzecchia. Per simpatia sua e di tutti quegli altri, i Boskov, i Bagnoli, i Del Curto che dir si voglia.

Se sbagliando si imparasse

lombradi

Il disastroso finesettimana dell’Ambrì Piotta, da zero gol all’attivo e dodici al passivo, non dovrebbe sorprendere più di tanto. Guardando bene la cosa non è altro che il perfetto corollario di una gestione scallerata del club che va avanti da anni.

Fallito l’accesso ai playoff nel 2007, un anno dopo aver sfiorato l’impresa di eliminare nei quarti di finale il Lugano poi diventato campione, in Leventina si è cominciata a perdere di vista la realtà per inseguire i sogni di gloria. Senza stare ad elencare la lunga sequela di allenatori che si sono succeduti alla transenna, si è continuamente cambiata rotta nel tentativo di tornare a lottare (formalmente) per il titolo, prerdendo di vista peculiarità e possibilità reali. Spendendo oltre le possibilità, anche e soprattutto dopo l’avvento del tifosissimo presidente Lombardi, l’Hcap ha rischiato ogni anni di saltare per aria, raddizzando la baracca spesso usando i fondi per la stagione entrante per coprire i costi di quella uscente. Il tutto operando senza criterio sul mercato e lasciando miseramente andare a male il settore giovanile. Il tutto promettendo puntualmente mari e monti.

L’illusoria partecipazione alla fase finale, qualche anno fa – grazie all’allestimento di una squadra competitiva immediatamente smontata per eccesso di costi – ha aggravato la sindrome spingendo i dirigenti a pensare di aver trovato la via per risalire. Così, avanti a sbagliare in tutta allegria, cercando di tamponare alzando prezzi e offrendo sempre meno. Soprattutto ai giovani del proprio vivaio. Che nel frattempo si è assotigliato di numeri e talento. Così che, mentre la prima squadra rischia fortemente la retrocessione in Lega Nazionale B, lo stesso stanno facendo le due squadre di punta della Ambrì Piotta Giovani Sagl, Juniores e Novizi nelle rispettive categorie élite.

Con lo sguardo sempre rivolto a una nuova pista che rischia di non servire a nessuno, a questa stregua, Ad Ambrì si continua a sbagliare e a non imparare dai propri errori. Va bene essere un po’ tifosi, ma essere anche ciechi è pericoloso. Gordie Dwyer è caduto dalla padella di Zagabria nella brace di Ambrì. Durante il derby di sabato, colto dalle telecamere, dava l’impressione di essere uno che non volesse essere lì. La scelta di portarlo in Leventina sarà verosimilmente l’ennesima soluzione provvisoria e inutile. Al punto che arrivato il suo assistente di fiducia tutto ha preso a crollare. Non ha colpe lui, come non ne aveva Kossmann. Le colpe stanno, un’altra volta, nel raccontare e raccontarsi bugie.

Viva la Branda Caprara

È sera. Me ne passeggio solo per la città, la mia, Bellinzona. Che fra un po’ sarà la Grande. Quasi come Lugano. A testa bassa, tutto pensante. Bam, finisco addosso a un muro che fino a ieri non stava lì. Alzo la testa. Me la gratto anche, per fortuna avevo il berretto. Non è un muro, è una recinzione. Mi son detto, dato che ero nei paraggi, che ci sarà un altro processo al al Tribunale federale, contro qualche simpatizzante dell’Isis. Poi improvvisamente l’illuminazione: arriva il carnevale.

Ma che bello, chiudono la città. Al centro, là dove ci sono le sole cose da vedere per chi viene da fuori. Chi viene da fuori, però, viene solo per delinquere. Altrimenti perché chiudere? Quelli che son dentro invece no. D’altro canto hanno inventato anche un’associazione per impedire che anche la musica oltrepassi i confini.

Allora chiudiamo. Giustamente. D’altro canto il carnevale è presieduto da uno che è anche presidente del partito più grosso e il sindaco è un illuminato socialista. Se ritengono loro che è meglio chiudere e far pagare l’entrata a chi entra e in più perquisirlo per bene. Che si sa, le armi vengono da fuori. Dentro è tutto un fiorire di pacifisti.

Siamo proprio una città illuminata, che poi tutti quelli che vengono da fuori comune li facciamo venire gratis. Mentre i domiciliati gratis niente, tranne guardare da fuori aggrappati alle ramine. Se non vogliono pagare o non abitano entro i regi confini. Chissà come faranno nella grande Bellinzona a far valere la stessa legge in ogni quartiere? Ma che sciocco, la legge già non è uguale in ogni quartiere.

E tutti quelli che reclamano, che dicono che è fuorilegge affittare a costo zero lo spazio pubblico a un privato che poi invece fa pagare affitti salatissimi per una settimana e fa pagare anche l’entrata. Tutti quelli dovrebbero stare al passo coi tempi. Ma guardatevi attorno insulsi sinistroidi. Non vorrete mica che la Svizzera venga invasa da un’orda di rifugiati che scappano da una guerra che hanno scatenato loro. Non vorrete mica che gli Stati Uniti, il grande paese del sogno e della libertà venga invaso da quegli scansafatiche e delinquenti di messicani.

Se Donald Trump arriva a fare il muro al confine con il Messico, perché non dovrebbero fare altrettanto i nostri eroi a carnevale, con tutti quei deficienti che vogliono solo divertirsi.

W la Banda Trump. W la Branda Caprara.

Incredibile Ulicar

Con passo alternato alla Garrincha entravi in redazione per le tue infinite liti con il computer, dal quale di tanto in tanto spariva il tuo lavoro di una mezza giornata. Più che altro finiva in qualche posto strano, come nello spazio riservato al corpo dei caratteri. Ma imperterrito avevi ormai deciso che la macchina per scrivere era roba da vecchi e insistevi per imparare. Sempre e ancora anche dopo gli ottanta. Cercavi aiuto solo alla disperazione, evitavi di chiedere a me sbuffante, rivolgendoti a chi veniva di buon grado per poi ridacchiarti alle spalle.

Non eri un tipo facile, ma sapevi scegliere con intelligenza. La piaggeria ti faceva un po’ schifo nei due sensi di marcia, perciò ti sceglievi con cura gli amici e diffidavi di quelli troppo sorridenti. Nei tempi migliori della Nostra redazione eri fra i rivoluzionari e vedevi certamente più lontano di chi poi ha avuto i gradi del comando, dai caponi ai capetti. Più giornalista nell’anima che pur quotato funzionario delle poste dalla parte della carriera, hai cercato con insistenza il neologismo, intricandoti nei meandri dei vocabolari.

Inutile star qui a piangerci su, che abbiamo fatto un gran ridere. Incredibile Ulicar.

La scommessa vinta

header2La scommessa Ticino Rockets, il sostegno cadetto in comune tra Ambrì Piotta e Lugano, è stata vinta. Il Biasca, dopo le difficoltà iniziali, ha portato a termine un campionato in crescendo, al penultimo posto, che non è poco considerando che si è lasciato alle spalle il farm team dei Lions, il Grasshoppers-Küsnacht, ossia il progetto (pioniere a livello svizzero) al quale si sono ispirati i dirigenti ticinesi per mettere in piedi i Rockets.

Luca Cereda, giovanissimo allenatore (36 anni) che si afferma anno dopo anno, ha lavorato con pazienza e qualità, amalgamando un bel gruppo con i reduci dalla promozione dalla Prima Lega conquistata sul campo l’anno scorso e con i giocatori usciti dai settori giovanili di Ambrì e Lugano e infine quelli messi a disposizione dagli stessi club. Tanto più merito per i risultati ottenuti (nell’ultima giornata si è per esempio portato ai prolungamenti il Langenthal vincitore della stagione regolare) è dato dal fatto che il Biasca non ha schierato giocatori stranieri, unica realtà del genere in campionato.

La formazione in Ticino ha dunque il suo sbocco finale che funziona e questa è una bella notizia, poiché l’opportunità di giocare in LNB al termine del percorso giovanile diventa difficile se si cerca un posto oltre Gottardo. In questa stagione ci sono stati giovani che hanno fatto la spola tra la A e la B praticamente solo per quanto concerne il Lugano (Riva, Fazzini, Ronchetti…), benché i Rockets siano a maggioranza di partecipazione leventinese. Ma questa è una situazione inevitabile che affonda le radici nello sbando in cui è stato lasciato per troppi anni il settore giovanile dell’Ambrì Piotta, che finisce curiosamente per applicarsi nell’assicurare lo sbocco per una realtà che andando avanti così rischia di perdersi nel nulla.

Spesso, il presidente dei Rockets Davide Mottis si è lamentato per lo scarso afflusso di pubblico alla pista di Biasca, che costituisce di fatto il solo neo nella concretizzazione di questo progetto. Forse, pur comprendendo le argomentazioni, bisognerebbe abbassare un po’ i prezzi di entrata alla pista, perché va bene che bisogna sostenere i giovani ma non sono tutti dottori, avvocati o imprenditori. Il Biasca ha inoltre quasi costantemente la c oncorrenza diretta di Ambrì e Lugano nelle sere delle partite e il potenziale di chi va allo stadiosceglie fra queste altre due opzioni. Magari, accontentandosi intascare un po’ meno ci sarebbe qualche presenza in più a sostenere la causa dei Rockets anche in pista. E, come si dice, anche l’economia girerebbe di più.

La Wil formula che uccide

altre-foto-tel-007E così anche i turchi sono scappati. Lasciando terra bruciata, cioè una situazione insostenibile. Si parla di calcio, di Challenge League, del Wil. Il miliardario Mehmet Nazif Günal, visto che non c’è stata promozione la scorsa stagione, difficilmente sfuggirà allo Zurigo quest’anno e che la politica frena inesorabilmente il suo progetto di uno stadio in grande stile, ha deciso che ha investito abbastanza in questa avventura e ha smesso di cacciare soldi. Il risultato è che la quarta forza del campionato cadetto, la sedicesima in campo nazionale, deve ridimensionarsi immediatamente e potrebbe anche sparire dalla realtà di Lega Nazionale prima ancora che finisca la corrente stagione.

È l’ennesima sconfitta della formula di eccellenza voluta dalle alte sfere del calcio svizzero, che è già costata fallimenti e ripartenze dalle retrovie di buona parte delle società che hanno contribuito a farne la storia. Il Wil non è certo uno di questi esempi, e curiosamente è proprio una di quelle squadre che hanno approfittato del caos provocato dalla drastica riduzione delle squadre di Lega Nazionale (dieci in Super e dieci in Challenge League) voluta da un manipolo di megalomani e appoggiata da una banda di scriteriati.

Il tutto risale a riforme imposte in vista dell’Euro 2008, che ha comportato una serie di esigenze di base troppo severe per l’ottanta percento dei club svizzeri. Così, se ci si ritrova da una parte con un Basilea (sorretto dalla potentissima industria farmaceutica) che ogni tanto si illumina un po’ in campo europeo, dall’altra ci sono le altre società che vivono situazioni che vanno dalla discrezione al disastro.

La periferia è sempre più penalizzata, il reclutamento di giovani si fa difficile poiché la formazione è sempre più ridotta da una cinica e per nulla lungimirante selezione precoce dei talenti e così nascono delle realtà costose e finalmente poco produttive (e produttive per pochi) come da noi il Team Ticino.

La situazione che sta vivendo il Wil è solamente un altro esempio dello scempio che sta compiendo l’indirizzo dato al calcio professionistico in Svizzera. E il continuo sventolare i risultati della Nazionale – che peraltro non hanno ancora mai raggiunto l’eccellenza – non è altro che un voler nascondere il vero problema. Che, semplicemente, è la megalomania di pochi per la desolazione di molti. Il fatto stesso che lo Zurigo e il Servette siano in B e il Grasshoppers arranchi al piano di sopra dovrebbe essere abbastanza esplicativo di una realtà dove è necessario spendere molto più di quel che si incassa per rimanere sportivamente a galla. I tre sodalizi di cui sopra sono stati tra i più vincenti nella storia. E fino a pochi anni or sono.

Il coccodrillo come fa

Nel gergo giornalistico, è detto coccodrillo un necrologio che si prepara con anticipo, in modo da esser pronti a pubblicarlo al sopraggiungimento della morte del soggetto in questione. Una celebrazione un po’ cinica per poi piangere le famose lacrime del rettile sopra citato al momento della pubblicazione.

In questo caso, il soggetto in questione è una squadra, e il coccodrillo è stato pubblicato ante mortem da una testata locale. Si tratta del Leicester, campione d’Inghilterra in carica e attualmente nelle parti basse della classifica di Premier League. Il Leicester ha compiuto un’impresa vincendo il campionato la scorsa stagione, ridando ossigeno ai cuori degli appassionati di calcio, ma ora arranca un po’ in campionato. Un campionato inglese definito dall’articolo in questione “pesantemente ridimensionato”.

Pesantemente al punto che conta ancora tre squadre in lizza negli ottavi di finale della Champions League (come la Germania, una in meno della Spagna). E fra queste tre, guarda un po’, c’è anche il Leicester, che magari la favola, il sogno o semplicemente la sua storia sportiva, la sta ancora portando avanti con dignità. La stessa dimostrata da Ranieri, nel momento in cui era celebratissimo alla fine della scorsa primavera. Lo scafato tecnico romano aveva ammonito: “Adesso siamo qui a festeggiare, ma dovremo essere pronti al fatto che la prossima stagione saremo nella seconda metà della classifica”.

Che il Leicester avanzi o esca in Champions League, che Ranieri mantenga o meno il suo posto, quel che hanno portato a compimento insieme rimarrà immortale. Alla faccia dei coccodrilli con scarsi argomenti.

FBL-ENG-PR-LEICESTER-EVERTON

Quo Vadis?

Nonostante alcune testimonianze strombazzanti, come nel costume che va prendendo piede, il finesettimana con derby di Lugano e Ambrì Piotta nuovo corso non ha portato alunché di nuovo. Tre punti per ciascuna delle due squadre e ben poche certezze. L’Ambri Piotta ha vinto un derby molto tirato e di scarsa qualità tecnica, che sarebbe potuto andare anche diversamente con quel gol non concesso agli avversari. E il giorno dopo ha perso a Davos, come nella normalità delle cose. Quanto al Lugano, ha recuperato i tre punti lasciati miseramente in Leventina, battendo uno Zugo che non è al momento all’apice della forma.

In ottica dei rispettivi obiettivi, per il Lugano il weekend non ha tolto l’affanno nella ricerca dei playoff (anzi i bianconeri hanno perso un punto nei confronti del Langnau, primo inseguitore a meno 6 con una partita da recuperare); per l’Ambrì un solo punto recuperato sul miraggio della decima posizione, che rimane a più 8.

C’è un altro fattore preoccupante, costituito, un po’ più sotto, dalle continue controprestazioni del Bellinzona, che sta compromettendo la scalata alla Super Prima Lega, nuova terza categoria unica che partirà la prossima stagione. E ad essere compromessa sarà anche la scala diretta nel progetto Ticino Rockets, poiché verrà a mancare l’appoggio della categoria immediatamente sotto la LNB, necessaria per lo scambio di giocatori fra partner team.

La sola vera novità nel weekend hockeistico a Sud delle Alpi, è stata l’illuminata presenza di un pornoattore domenica alla Resega, che la dice lunga su quale direzione stiano andando le cose. Come si dice, va tutto a peripatetiche.

Per fortuna, a fare da contraltare, è arrivata la (poco celebrata e pubblicizzata) conquista della Coppa Svizzera da parte delle Ladies (loro sì) del Lugano.

Pista sì, ma pista dove?

Manca una settimana all’inizio del campionato di hockey e dovrebbero mancare poche settimane all’inizio dei lavori per la costruzione della nuova pista dell’Ambrì. Il condizionale è imposto dal non ancora raggiunto accordo definitivo per il finanziamento dell’opera. Le banche attendono che i comuni facciano la loro parte per liberare i capitali necessari.

Ma davvero sarebbe una buona scelta quella di mantenere la pista sul territorio di Quinto? Lasciando da parte il fattore sentimentale e il fascino del piccolo club di montagna, l’aspetto più importante di questo progetto è legato ai costi. Ammesso che si riescano a trovare i finanziamenti per mettere in piedi il nuovo stadio del ghiaccio, a preoccupare sarebbe la parte del mantenimento dello stesso, degli ammortamenti e quindi dei costi di gestione. Più o meno questi dovrebbero ammontare di base a circa tre milioni e mezzo di franchi l’anno. Ogni anno a venire. Soldi tutti a carico dell’Hcap o della società di riferimento per la pista. Questi sono solo i costi di base. Ma, naturalmente, si dovrebbe continuare a finanziare il club, soprattutto la prima squadra. E a pagare sempre la società biancoblù, in un modo o nell’altro.

Venuta ormai a mancare la fantomatica Accademia finanziata da investitori kazaki, la nuova pista non genererebbe nessuna entrata oltre a quella garantita dal pubblico alle partite e dello stesso pubblico nei vari ristori, lussuosi e meno, previsti. Per il resto, a nessun commerciante interesserebbe aprire un negozio nella piana dell’aeroporto, difficilmente la sede sarebbe attrattiva per manifestazioni di massa e male si vede come possa essere sfruttata la struttura per altre discipline sportive.

Senza dimenticare che, Valascia vecchia o nuova pista, quando fa brutto e nei turni infrasettimanali non è che l’afflusso di pubblico potrà aumentare sensibilmente.

Il rischio grosso è che, per il volere di qualche tifoso coi paraocchi, si andrà incontro a un altro buco nell’acqua che rischierà di mandare in rovina i comuni che lo dovrebbero finanziare.

Tutti si è concordi nel ritenere importante che il club leventinese continui a vivere e possibilmente a progredire. Ma intestardirsi su un progetto così ambizioso e incerto (va detto fra le righe che percento superiori a quelli preventivati).

L’aspetto interessante della questione è che sarebbe stato possibile realizzare una nuova pista (e una seconda pista accanto), con un investimento di 30 milioni di franchi da parte di privati, con l’annessione di spazi commerciali, che all’Ambrì Piotta sarebbero costati solo per l’affitto. A proporre il progetto l’Artisa Sa. Stefano Artioli e i suoi partner hanno pronto un progetto per la realizzazione della pista (con grande uso di parti in legno) a Castione, in tempi abbastanza brevi e soprattutto su un sedime già destinato alla realizzazione di infrastrutture sportive. I vantaggi economici per il club del presidente Filippo Lombardi sarebbero indiscutibilmente interessanti. Intanto la posizione geografica è perfetta per un’affluenza media più alta di quella attuale, anche in caso di cattivo tempo. La posizione è poi strategica per il traffico automobilistico (uscita autostradale) e ferroviario (Castione è la stazione principale Tilo e AlpTransit faciliterebbe anche l’afflusso dei tifosi dalla Svizzera Centrale). Non ci sarebbero costi di manutenzione diretti, per uno sgravio non indifferente.

Sembra che, in principio, la soluzione sarebbe stata ritenuta ideale anche dal presidente stesso, che ha dovuto però declinare per la pressione esercitata da parte della tifoseria. Che si abituerebbe in un batter d’occhio alla nuova situazione. E riflettendo un po’ si renderebbero conto della necessità che ha il loro club del cuore di contenere i costi per non rischiare davvero di sparire.