Pista sì, ma pista dove?

Manca una settimana all’inizio del campionato di hockey e dovrebbero mancare poche settimane all’inizio dei lavori per la costruzione della nuova pista dell’Ambrì. Il condizionale è imposto dal non ancora raggiunto accordo definitivo per il finanziamento dell’opera. Le banche attendono che i comuni facciano la loro parte per liberare i capitali necessari.

Ma davvero sarebbe una buona scelta quella di mantenere la pista sul territorio di Quinto? Lasciando da parte il fattore sentimentale e il fascino del piccolo club di montagna, l’aspetto più importante di questo progetto è legato ai costi. Ammesso che si riescano a trovare i finanziamenti per mettere in piedi il nuovo stadio del ghiaccio, a preoccupare sarebbe la parte del mantenimento dello stesso, degli ammortamenti e quindi dei costi di gestione. Più o meno questi dovrebbero ammontare di base a circa tre milioni e mezzo di franchi l’anno. Ogni anno a venire. Soldi tutti a carico dell’Hcap o della società di riferimento per la pista. Questi sono solo i costi di base. Ma, naturalmente, si dovrebbe continuare a finanziare il club, soprattutto la prima squadra. E a pagare sempre la società biancoblù, in un modo o nell’altro.

Venuta ormai a mancare la fantomatica Accademia finanziata da investitori kazaki, la nuova pista non genererebbe nessuna entrata oltre a quella garantita dal pubblico alle partite e dello stesso pubblico nei vari ristori, lussuosi e meno, previsti. Per il resto, a nessun commerciante interesserebbe aprire un negozio nella piana dell’aeroporto, difficilmente la sede sarebbe attrattiva per manifestazioni di massa e male si vede come possa essere sfruttata la struttura per altre discipline sportive.

Senza dimenticare che, Valascia vecchia o nuova pista, quando fa brutto e nei turni infrasettimanali non è che l’afflusso di pubblico potrà aumentare sensibilmente.

Il rischio grosso è che, per il volere di qualche tifoso coi paraocchi, si andrà incontro a un altro buco nell’acqua che rischierà di mandare in rovina i comuni che lo dovrebbero finanziare.

Tutti si è concordi nel ritenere importante che il club leventinese continui a vivere e possibilmente a progredire. Ma intestardirsi su un progetto così ambizioso e incerto (va detto fra le righe che percento superiori a quelli preventivati).

L’aspetto interessante della questione è che sarebbe stato possibile realizzare una nuova pista (e una seconda pista accanto), con un investimento di 30 milioni di franchi da parte di privati, con l’annessione di spazi commerciali, che all’Ambrì Piotta sarebbero costati solo per l’affitto. A proporre il progetto l’Artisa Sa. Stefano Artioli e i suoi partner hanno pronto un progetto per la realizzazione della pista (con grande uso di parti in legno) a Castione, in tempi abbastanza brevi e soprattutto su un sedime già destinato alla realizzazione di infrastrutture sportive. I vantaggi economici per il club del presidente Filippo Lombardi sarebbero indiscutibilmente interessanti. Intanto la posizione geografica è perfetta per un’affluenza media più alta di quella attuale, anche in caso di cattivo tempo. La posizione è poi strategica per il traffico automobilistico (uscita autostradale) e ferroviario (Castione è la stazione principale Tilo e AlpTransit faciliterebbe anche l’afflusso dei tifosi dalla Svizzera Centrale). Non ci sarebbero costi di manutenzione diretti, per uno sgravio non indifferente.

Sembra che, in principio, la soluzione sarebbe stata ritenuta ideale anche dal presidente stesso, che ha dovuto però declinare per la pressione esercitata da parte della tifoseria. Che si abituerebbe in un batter d’occhio alla nuova situazione. E riflettendo un po’ si renderebbero conto della necessità che ha il loro club del cuore di contenere i costi per non rischiare davvero di sparire.

Un primo giro che promette

Le partite dello scorso weekend hanno permesso a Lugano e Ambrì Piotta di completare il giro di avversari del loro primo turno. Il che permette di fare una prima sommaria valutazione di quanto il cambiamento di rotta sul piano tecnico possa aver giovato o meno alle due squadre ticinesi. Classifica alla mano (Lugano primo pari merito con i campioni del Berna e Ambrì Piotta in “zona playoff”) a un quarto del cammino i risultati danno ragione alla scelta di Greg Ireland da una parte e di Luca Cereda dall’altra.

Con il canadese, il Lugano ha forse trovato l’allenatore capace di dare equilibrio a un gruppo di giocatori che non hanno saputo in passato tramutare il talento in rendimento con la necessaria continuità. Il Lugano è effettivamente una squadra forte e in grado di arrivare molto lontano. L’inciampo in avvio contro l’Ambrì Piotta è stato il classico incidente di percorso che ha permesso di aprire subito gli occhi a chi pensava che bastasse la sufficienza per vincere. Senza quell’inciampo, e qualche settimana dopo quello di Losanna, il Lugano dominerebbe dall’alto tutta la concorrenza. Determinanti sono poi stati l’inserimento difensivo di Sanguinetti e la ritrovata vena realizzativa di Hofmann.

Luca Cereda ha dal canto suo saputo dare all’Ambrì Piotta una propria dimensione. La squadra leventinese, come si poteva presumere, è una delle più deboli della massima Lega. Tuttavia una valida preparazione fisica (al cospetto di quella dilettantesca degli ultimi anni) e un gioco semplice, pur se dispendioso, permettono all’Ambrì di battere le squadre che ha la possibilità di battere. Non a caso (fatta eccezione del citato derby d’avvio, che era stato soprattutto perso dagli avversari) le vittorie sono state ottenute dai biancoblù a spese delle quattro compagini che stanno loro alle spalle: Losanna, Ginevra, Langnau e Kloten. Il Losanna è potenzialmente davanti e la lotta sarà certamente agguerrita fra le ultime cinque squadre della classifica per un posto nei playoff. Tuttavia, l’Ambrì ha dimostrato che può giocarsela. Tanto più che D’Agostini si sta dimostrando uno dei migliori stranieri del campionato e che ci si possono attendere contributi più sostanziosi dai suoi tre colleghi Emmerton, Plastino e Taffe.

Occasione persa, anzi buttata via

Superficialità, retorica, banalità, fino al grottesco finale. La trasmissione Rsi per sottolineare l’ottantesimo compleanno dell’Ambrì Piotta è stata soprattutto un’occasione persa. C’erano ottanta invitati e in studio avran parlato in una mezza dozzina al massimo. Il che dice da sé che il grosso dei presenti era pura ripiena ad effetto. In due ore di trasmissione non si è riusciti ad esempio a giustificare la presenza di Oleg Petrov, che sarà pure venuto apposta da Montreal, ma è venuto per niente. Neanche una piccola scheda sul suo passaggio in Leventina. Gli ottant’anni dell’Ambrì sono stati celebrati con frasi fatte e concetti omologati. Mai un guizzo, mai qualcosa che capace di suscitare un “bravi”. Si è voluta anche fare un po’ di televisione del dolore, tanto cara ai canali italiani, mettendo in grosse difficoltà Pauli Jaks – che sicuramente aveva in gola un groppo così – chiedendogli se il fratello manca (?), appena dopo aver trasmesso immagini della commemorazione per la morte di Peter, tenutasi alla Valascia.

Non si è mancato, ogni cinque-dieci minuti, di tirare in ballo il Lugano che, a parte il derby, c’entrava poco con il tema della serata. Ma è il classico oregiattismo trasversale che striscia spesso in tv per questione di ascolti. E magari non era neanche strettamente necessario annunciare a più riprese che fra quattro anni ci sarà una trasmissione per gli 80 dei bianconeri. Qualcuno dubitava?

Sul finale show messo in scena dal tifoso bianconero Invernizzi e dall’istrionico Baron (naturalmente con un riferimento anche al Lugano) meglio stendere un pietoso velo.

Delle due ore di trasmissione ci sono comunque alcuni punti da salvare: il competente e coinvolgente contributo di Bernard Russi, quello pacato e puntuale di Nicola Celio e lo splendido silenzio di Cipi Celio all’ennesima domanda idiota con risposta già incorporata.

Lamenti

Ci sentiamo ai margini e ci lamentiamo. Questo povero Ticino vituperato. Ci si puliscono tutti le scarpe sul nostro zerbino. Saremmo anche disposti a metter su un ministro che difende a oltranza le casse malati, che ci hanno depredati per decenni, basta che sia ticinese. Etnia anche a scapito di intelligenza e soprattutto onestà. Una cosa che suscita sinistre riminiscenze.

Vediamo ovunque sgarbi nei nostri confronti. Apriti cielo! E il cielo si è aperto su Lugano sabato scorso, rendendo impossibile il prosieguo di una partita. Quella che il FCL stava disputando con il San Gallo. E stava vincendo. La palla non rimbalza più e, da regolamento, partita sospesa e chiusa anzitempo. Alla fine del primo tempo. Particolare non sorvolato dai professionisti del lamento, il Lugano stava vincendo con un gol messo a segno nel pieno della tempesta, quando già il calcio stava venendo meno.

Bisogna rifare la partita. Ma dall’inizio. “Ma come, ma se vincevamo. Ma cos’è questa ingiustizia?”.

È il regolamento. Che, si sa, se sta dalla tua va bene, se ti vien contro bisogna cambiarlo. Il Lugano ha subito inoltrato un ricorso, un lamento, la reazione a un ipotetico sgarbo. Nel segno della giustizia lo avrebbe sicuramente fatto anche se fosse stato in vantaggio il San Gallo.

La realtà è che non si sa più accettare niente.

Il calcio è una disciplina che deve il successo che ha a delle regole semplici. Lo stanno rovinando cambiandole una ad una e mettendoci in mezzo la tecnologia. Quella tecnologia che sta togliendo la poesia al calcio. Che annulla in partenza leggende come la Mano de dios di Maradona a Mexico 86. Se non si accetta che un nubifragio determini il rifacimento di una partita come da regolamento, si finirà per spingere verso i campi sintetici e senza arbitri con il televoto che deciderà su un offside.

Campionato speranze

A cavallo tra luglio e agosto inizia il conto alla rovescia per l’inizio del campionato di hockey. In Ticino, come abitudine, i giocatori di Lugano e Ambrì Piotta si godono il primo bagno di folla.

Alla Resega già si sono potuti seguire i primi movimenti sul ghiaccio di una formazione che prova un’altra volta a rincorrere quel titolo che manca ormai dal 2006, la stagione che regalò l’ultima gioia ai tifosi e coincise anche con uno stop dettato da motivi inerenti le grosse irregolarità nel versamento degli stipendi (gran parte non dichiarati) che dettero probabilmente il vero stop a una situazione che era sfuggita dal controllo. Il Lugano ora ha costruito con maggiore equilibrio e si prepara a un altro campionato di vertice dal quale spera di cavare il massimo possibile. La rosa è prestigiosa, completata da arrivi di indubbia qualità. Il solo interrogativo riguarda semmai un allenatore, Greg Ireland, che ha alle spalle due esperienze a breve termine sulla panchina bianconera e che sarà stavolta confrontato con l’enorme pressione che monta con l’avvicinarsi dell’autunno e spesso crea esplosioni nell’avvicinarsi all’inverno. Se Ireland, confrontato con un pollaio ricco di galli, riuscirà a gestire il gruppo come ha dimostrato di saper fare nelle brevi esperienze post-stagionali, il Lugano potrebbe puntare davvero in alto.

Punta decisamente più in basso l’Ambrì Piotta. Alla Valascia, domenica c’era meno gente del solito alla presentazione, e anche i toni dell’entusiasmo erano contenuti. Si sa che sarà una stagione difficile. Condizionata da un ridimensionamento dettato dalla disastrosa stagione dalla quale si esce. Ci vorrà pazienza ma, soprattutto, lucidità. L’Ambrì va incontro a un campionato difficile (squadra giovane e inesperta) e a una scommessa ancora più difficile: una pista da costruire senza i soldi necessari e contro ogni logica (se costruita nella piana di Ambrì non potrà mai generare un reddito e non si finirà mai di pagarla). Luca Cereda sa il fatto suo ma ha bisogno di estrema fiducia da parte di tutto l’ambiente. La squadra è sì più ticinese, ma sarà poi da vedere quanti ticinesi potranno poi trovare un posto da titolare, poiché un campionato di LNA è tutt’altra cosa rispetto a quello di B (o playout che dir si voglia). Bisognerà lasciarsi sorprendere e sperare nel meglio. Del resto, peggio dell’annata scorsa si potrà mai fare?

PS: Magari Filippo Lombardi potrebbe chiedere un prestito a lungo termine (o vendere azioni con aggio) a Nino Niederreiter, che incasserà un paio di decine di milioni nei prossimi cinque anni, in NHL.

Ma il Galà non va urlato

Clima ideale, organizzazione all’altezza, punti di ristoro ben distribuiti. Il Galà dei Castelli aveva tutte le premesse per una serata di successo e la forte affluenza di pubblico ha contribuito al degno contorno. Sul piano sportivo non si poteva chiedere di meglio. Parecchie prestazioni di rilievo e i picchi del primato svizzero eguagliato da Mujinga Kambundji e la miglior prestazione mondiale dell’anno nel lancio del disco, grazie a Sandra Perkovic hanno assicurato anche il successo tecnico alla manifestazione, che di anno in anno acquisisce sempre più prestigio.

Sugli spalti del Comunale serpeggiava tuttavia una sorta di malcontento, di stizzito malessere. Dopo neanche mezz’ora che il meeting aveva preso avvio si concertava persino un’invasione di campo per vedere di mettere a tacere i due urlatori armati di microfono.

Spavaldi nelle loro inutili sottolineature a volume ben superiore a quello che dà fastidio al bagno pubblico o la sera durante i concerti, i due urlatori hanno tolto una delle componenti essenziali per chi segue con passione i gesti sportivi: l’emozione. Non hanno taciuto un attimo, gracchiando mentre i lanciatori lanciavano, i corridori correvano e i saltatori saltavano. Hanno tolto la magìa che dà il silenzio nel momento in cui l’atleta sta mettendo in atto la sua impresa (grande o piccola che sia), un silenzio che poi giustamente esplode nel giubilo o soffoca nel sospiro di delusione.

I due urlatori hanno tolto molto ai cinquemila del Comunale. Alla fine, i più in evidenza, con la loro esagerata presenza vocale, sono stati loro. Purtroppo.

Semplicemente Federer

Ne sono state dette e scritte tante in questi giorni in merito alla vittoria di Roger Federer a Wimbledon e, più in generale, sul suo ritorno in auge dopo un periodo di alti e bassi che aveva permesso ad altri di innalzarsi sulle vette del tennis mondiale. In particolare, più o meno tutti si sono soffermati sull’impossibilità di trovare nuovi aggettivi da affiancare al nome del campione basilese. Le iperboli si sono sprecate.

Scremando ben bene tra le definizioni che vogliono essere quelle assolute nell’intento dei vari autori delle sperticate lodi, si arriva tuttavia alla conclusione che Roger Federer non rappresenta altro che la semplicità. Un termine che racchiude in sé la facilità, la modestia (o umiltà) e, soprattutto, il divertimento.

Per cominciare è un atleta. Il che significa che ha capacità fisiche superiori alla media. Allenandosi le migliora ulteriormente. Poi ha talento. In generale. Sarebbe probabilmente riuscito in qualsiasi disciplina. Evidentemente ha scelto il tennis perché si è accorto che gli riusciva bene. Fisico superiore, allenamento e talento sono una miscela esplosiva. Usando la testa poteva dunque esplodere come sportivo. E usare la testa vuol dire rimanere umile. Continuare cioè ad allenarsi per mantenere il fisico superiore e sviluppare ulteriormente il talento, anche dopo che ti sei accorto di esplodere come sportivo. E tutto riesce perfettamente solo se ti diverti. Lui si diverte, si vede. Perciò diverte.

Quello che piace di Federer è la semplicità. Quando lo guardi giocare, anche seduto davanti alla tv, ti sembra che tutti i movimenti che faccia siano quelli giusti. Perché sono semplificati all’osso. Si muove in maniera naturale. La maggior parte degli altri numeri uno hanno un che di innaturale. A cominciare da quel rovescio a due mani che li fa contorcere. E per arrivare alla pallina devono correre quel metro di più. Che volta per volta diventano chilometri. E finiscono per rompersi.

Federer è tornato a stravincere perché continua a divertirsi e ha messo da parte la smania da record che lo aveva a sua volta logorato all’inizio di questo secondo decennio degli anni duemila.

Si diverte come nei primi anni dei suoi successi, quando si divertiva per spensierata gioventù. Ora si diverte per spensierata maturità. Si emoziona ed emoziona, piange ogni tanto e spesso gli viene da ridere. Insomma, uno semplice.

Risorse rinnovabili

La brillante idea dell’Ambrì Piotta di far chiedere, nelle tre principali lingue nazionali, a tre giocatori di battere cassa tra i tifosi per il finanziamento di un interessante tabellone led, da piazzare in pista, che dovrebbe in utima analisi servire a condizionale i tifosi stessi nei loro acquisti, potrebbe avere un seguito. Dovesse funzionare la curiosa richiesta, l’Hcap ha già in serbo altre geniali proposte di questo genere per i propri fedeli sostenitori. Eccole in esclusiva:

  • Partecipazione all’acquisto di tutta la merce inerente il settore della ristorazione e degli spacci di bibite, che poi saranno loro rivendute con la relativa maggiorazione di prezzo per finanziare il club
  • Partecipazione all’acquisto di colori e vernici per rinfrescare le pareti esterne della Valascia (lato nord) e degli interni (corridoi sotto la tribuna principale, zone vip e buvette). Gradito sarà anche il contributo attivo con pennelli e rulli vari.
  • Finanziamento diretto per la revisione e/o sostituzione di televisori, poltrone e divani nei settori riservati alla ricreazione e al riposo dei giocatori
  • Settimanale pulizia interna delle vetture di rappresentanza dello staff amministrativo
  • Libera offerta di case e appartamenti per giocatori e staff tecnico
  • Noleggio di torpedoni per le trasferte della squadra
  • Noleggio di pullman e pullmini per il settore giovanile (strettamente in esclusiva per genitori e parenti dei giocatori di questo settore)
  • Naturalmente, rimane sempre aperta l’opzione di finanziare la nuova pista sul sedime dell’aeroporto con la relativa assunzione delle spese di mantenimento e della responsabilità diretta in caso di fallimento del progetto

In cambio il club offrirà:

  • nomina a socio onorario (senza potere decisionale)

  • un chilo di caffè macinato per preparazione “alla turca”

  • eterna gratitudine

PS: Rimane sottinteso che il tifoso continuerà a farsi carico dell’acquisto di biglietti e/o tessere stagionali d’entrata alla pista per le partite (senza maggiorazione di prezzo)

I tempi del Villaggio

Ill.mo, Spett.le Lup. Mann., Direttore generale,

(…) Questa settimana mi è successo un fatto che Le voglio raccontare perché Ci darà (a Lei Sig. Direttore) un’idea di quanto siano diversi da come li descrivono i “sovversivi rossi” gli Spett.li Sigg.ri Dirigenti, e come siano giudicati ingiustamente ed erroneamente. (…) Giovedì scorso sono dovuto andare a Milano per conto della mia Società. (…) Giovedì sera sono ripartito dalla stazione Centrale in una cuccetta di 6.a classe per impiegati. (…) Eravamo in 9 nello stesso scompartimento. (…) Alle 3 di notte sono uscito nel corridoio. (…) Mi avventurai allora lungo il treno e scoprii un mondo meraviglioso. Passai al buio per un vagone ristorante clamoroso, con le poltrone di cuoio e ancora pieno di odori che mi facevano quasi perdere i sensi. E arrivai al silenzio pieno di moquettes arabescate di un magnifico vagone letto. Da quella moquette emanava una tale sensazione di pulito che io mi lasciai andare giù lentamente,

Mi svegliò alle 6 e 40 del mattino il conducente che scambiandomi per un cliente ricchissimo ma sofferente di claustrofobia, mmi rovesciò in gola un caffè a 5’000 gradi Fahrenheit! Lo sfrigolio sinistro e l’odore di bruciaticcio svegliarono anche altri potenti che dormivano nelle loro alcove. Ed eccoli che cominciavano ad uscir fuori in corridoio profumati come ballerine turche, con i visi gonfi come pugili e con gli abiti fetidi come barboni. (…)

Parlavano di vacanze: “Non si sa più dove andare: Riccione, Viareggio, la Riviera un vomito. Ovunque gente oscena!”. Io ci rimasi male perché capii che al solito sbagliavo tutto, io che da 2 anni mettevo da parte i soldi per portare mia moglie e mia figlia sulla costa adriatica. Avevano le famiglie a Gstaad in Svizzera, un posto che non conoscevo “per tener lontani almeno loro da tutto questo schifo che è l’Italia”. Io per un attimo mi permisi di pensare che in fondo è l’Italia che avevano costruito loro, la classe dirigente, ma non mi sentii di insistere troppo.

Io li guardavo sempre ammirato quando il treno entrò lentamente in Termini. Sulla banchina c’era una lunga striscia di braccianti calabresi che venivano dalla Svizzera per timore del Referendum. (…)

Gli emigranti erano seduti sulle loro tremende valigie di cartone tenute chiuse con gli spaghi. Avevvano le facce magre e scure, marmorizzate in un dignitoso dolore. Eravamo tutti al finestrino. Il Megadirettore disse: “È stato un anno terribile”. “Per chi?”, domandò trillando il Sig, Direttore Generale. Ma come per chi? Mi permisi di pensare io, non vedi come sono ridotti questi poveretti? E il Sig. Megapresidente; “Perché non abbiamo mai avuto a Gstaad una neve così farinosa!”.

Da Le lettere di Fantozzi, di Paolo Villaggio (Rizzoli, 1976)

PS: Se n’è andato un genio, uno davvero un passo avanti. Il tempo gli si è fermato, ma i tempi non cambiano poi come si dice.

Beniamino in cerca di sé

Lo staff dell’Ambrì Piotta ha dunque deciso di optare per la soluzione Benjamin Conz, nel ruolo di portiere, e di rinnovare la fiducia a Cory Emmerton, nel pacchetto stranieri. Sono evidentemente soluzioni di emergenza, nel senso che, probabilmente, il mercato dei portieri era così chiuso che ci si è finiti per orientare sul giurassiano. Nonostante i costi che, pur se ridotti rispetto alle cifre del Gottéron, sono certo onerosi. Che Cory Emmerton non fosse una prima scelta lo dimostra il fatto che, nonostante il giocatore fosse fortemente interessato a rimanere (Hcap dixit), non gli è stato rinnovato il contratto con maggiore celerità. E, d’altro canto, altrettanto probabilmente, Emmerton non aveva grandi opzioni oltre a quella leventinese.

Ad Ambrì si lavora con pochi soldi e dunque ci si deve muovere con cautela. Conz non è un fulmine di guerra. Portiere dal grande potenziale, non ha saputo sfondare da nessuna parte e da professionista ha centrato una solo due stagioni di eccellenza, tra il 2012 e il 2014, quando il Friborgo era ai vertici. Altrimenti, molti alti e bassi. Più bassi che altro. E lo dimostra anche il fatto che non ha saputo guadagnarsi la fiducia a lungo in nessun club. La sua pare un po’ la storia di David Aebischer, altro portiere dal grande potenziale, che ha vissuto una carriera al di sopra dei suoi meriti, grazie a una bella stagione in gioventù, senza peraltro diventare mai il vero numero uno in nessuna squadra.

Conz ha solo da guadagnarci attraverso l’opportunità offertagli dall’Ambrì Piotta, che da parte sua ha parecchio da perdere se il ventiseienne paffutello non troverà infine l’equilibrio tra il talento, da una parte, e l’impegno e il rendimento costanti, dall’altra.

Non rimane che lasciarsi sorprendere.