Perdere e perdere

È finita per il Lugano e continua per l’Ambrì, ma si tratta della stessa cosa. Sconfitte.

Il Lugano di Greg Ireland ha dimostrato di essere una squadra da playoff. Una squadra. Se il Berna vince in cinque partite è solamente perché il Berna nell’insieme è più forte, ma in gara 5 avrebbe meritato di vincere il Lugano. Considerando la modesta stagione regolare, il Lugano chiude alla grande e lo deve in buona parte anche agli equilibri che ha saputo trovare un allenatore che magari la prossima stagione si troverà a lavorare in qualche lega minore nordamericana, per lasciare il posto a un “nome” fine a séstesso.

L’Ambrì invece andrà a giocare lo spareggio con il campione di Lega B e lo farà da squadra debole, in verità poca squadra e con un allenatore che dà sempre l’impressione di essere lì per caso. Certo, la speranza è sempre l’ultima a morire, ma lé

l’Ambri Piotta di questa stagione è davvero debole e composto da una parte troppo importante di giocatori che non hanno niente a che vedere con quello che è la storia, la tradizione e la maglia dell’Ambrì.

Instabilità destabilizzata

Insomma, sono i giornalisti e i tifosi arrabbiati a destabilizzare la squadra dell’Ambrì in questa delicata fase della stagione. Lo dice il presidente Lombardi, che se ne intende. Tutto perché qualcuno ha pubblicato una notizia che è sfuggita ai filtri interni (e mica solo a Zurigo lo sapevano, presidente), ossia che poco meno di una settimana fa era pronta la soluzione Cereda. Non se ne è fatto nulla solo per timore di dover smontare tutto l’apparato dello staff tecnico e mettere finalmente in dubbio l’intera gestione della stagione 2016/17.

Se appena si guardasse attorno e soprattutto alle spalle e a quanto successo negli ultimi otto anni, magari il presidente troverebbe veramente chi è all’origine di questa situazione instabile per conto suo. Altro che destabilizzata dall’esterno. La teoria del complotto è un po’ troppo campata in aria. La società è allo sbando. I Novizi élite hanno perso la categoria e il responsabile del settore giovanile ha dato di matto, accusando i ragazzi. Gli Juniores élite stanno lottando con il Rapperswil per mantenere la categoria, e probabilmente la prima squadra farà lo stesso a partire dalla prossima settimana.

A meno che, fra stasera e martedì prossimo, non accada il miracolo. A cancelli della Valascia aperti e si spera anche a porta (del Friborgo) aperta.

Depressione biancoblù

Rimesso il difensore straniero, sabato a Friborgo l’Ambrì ha incassato meno, ma alla fine ha ancora perso. Mancano le qualità, e manca soprattutto la serenità. La situazione rimane confusa anche perché la fiducia ripromessa allo staff dopo l’1-6 casalingo di giovedì non ha certo fatto l’unanimità all’interno del consiglio d’amministrazione, dove si ventilava di rimescolare ancora una volta le carte per dare una svegliata al gruppo. Addirittura è mancato un niente che a Friborgo l’Ambrì ci andasse ieri con un coach ticinese alla transenna, e non è difficile immaginare chi. Ma non se n’è fatto nulla per il momento e la cosa dovrebbe tornare d’attualità se Dwyer e colleghi non riusciranno a evitare lo spareggio di promozione-relegazione.

Intanto, più sotto, i Novizi élite di Mauro Juri hanno perso la categoria (riconquistata giusto un anno fa), nonostante una classifica di partenza che li vedeva con quattro punti gia contabilizzati, mentre le tre squadre avversarie partivano da zero. E anche qui il mancato risultato è dovuto tutto alla completa assenza di serenità nel gestire la situazione. A parte il 7-3 finale incassato a La Chaux-de-Fonds (promosso), decisivo è stato il punto concesso nella penultima partita, vinta solo nel prolungamento (8-7!) contro l’Innerschwyz, a cui i leventinesi hanno concesso l’unico punto di questo torneo, che ha peraltro visto salvarsi i Gck Lions.

Sta invece conducendo 2-1 la serie al meglio di 5 la compagine degli Juniores élite di Pauli Jaks, che disputa lo spareggio di promozione-relegazione con il Rapperswil.

Prima che sia troppo tardi

La situazione è ormai fuori controllo e si profila sempre più reale la possibilità che l’Ambrì Piotta torni in Lega Nazionale B dopo oltre trent’anni. La sfida per la salvezza contro il Friborgo è ormai persa, tanta è la superiorità manifestata dalla squadra di Larry Huras, pur tra molti momenti di eccessivo rilassamento. Quella di promozione-relegazione che si sta concretizzando con i campioni di B (probabilmente Rapperswil) appare a ruoli invertiti quanto a favori di pronostico determinati dalla categoria.

Gli errori si accumulano agli errori e ora si ventila di correre ai ripari cambiando un allenatore che non andava neanche ingaggiato. La sua posizione debole l’ha confermata lui stesso soffermandosi a rispondere a una domanda sull’eventuale perdita di carisma sui giocatori. Un coach di personalità non avrebbe neanche fatto finta di rispondere.

L’Ambrì non funziona e i difetti vengono da lontano, dallo squilibrio tra partenze e arrivi, alle incertezze nella gestione della conduzione tecnica e anche dall’affidare la preparazione fisica a un allenatore non all’altezza della categoria. Si è pescato nel Biasca per cercare soluzioni improbabili e dopo le inutili partite del finale di stagione regolare, sono venuti immediatamente a galla i limiti di giocatori che hanno disputato un buon campionato cadetto, ma non certo di alta classifica.

Oltretutto, l’Ambrì sembra non avere neanche una confortevole certezza riguardo all’efficacia dei propri portieri, e la cosa è alquanto preoccupante da sola.

Molto probabilmente, il solo modo per cercare di risolvere positivamente questo momento di depressione più totale, sarà quello di fare in modo che siano i giocatori più esperti a prendere in mano la situazione, assumendo finalmente per queste ultime settimane di campionato quel ruolo di leader che è mancato per tutta la stagione.

Senza consigli d’amministrazione negli spogliatoi a farsi spiegare cose che non capiscono.

Prima che sia – definitivamente – troppo tardi.

Dai portieri agli obiettivi

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Pare persino banale, ma a fare la differenza sono, in questi playoff, soprattutto i portieri. In particolare, finora, il più influente è stato Elvis Merzlikins. Il lettone è, tra tutti quelli impegnati nei playoff, quello che ha dovuto far fronte al maggior numero di tiri verso la propria porta. Evidentemente è anche quello che ha dovuto effettuare più parate per mantenere vincente la propria squadra. Non è il migliore in assoluto, perché Tobias Stephan sta parando di più in percentuale, per lo Zugo. Considerando però i risultati ben più tirati con i quali è finora stato confrontato il Lugano nelle sette partite di playoff finora giocate, Merzlikins è al momento più decisivo. Il che rappresenta al tempo stesso un privilegio e un limite per il Lugano.

Delle quattro compagini ancora in corsa per il titolo, il giovane Gilles Senn del Davos è il portiere meno performante. Ma la sua efficenza rimane entro limiti sopra la media il che, considerata l’efficacia offensiva del Davos, potrebbe risultare determinante per spingere la squadra di Arno Del Curto verso un ennesimo titolo.

Sta di fatto che per il momento, però, a fare un passo verso la finale sono stati un Lugano sempre più operaio e uno Zugo si rivela nel complesso la realtà più solida dell’intera stagione.

Nei playout appare chiaro che l’Ambrì Piotta ha perso qualsivoglia punto di riferimento e il cambio di allenatore si sta rivelando pressoché disastroso. Ben difficilmente a questa stregua i leventinesi riusciranno a evitare lo spareggio di promozione-relegazione.

E l’avversario rischia fortemente, e pericolosamente, di essere il Rapperswil, che ha vinto in trasferta la prima partita di finale con il Langenthal (tra l’altro con il portiere Nyffelerer tra i protagonisti). La società sangallese, malgrado l’inopinata retrocessione di due anni or sono, ha pianificato il proprio futuro e la propria rinascita sul piano generale. Non a caso due stagioni or sono ha conquistato il posto nella categoria Novizi élite (U17) e in questi giorni sta cercando la scalata alla massima categoria Juniores (U20) in uno spareggio di promozione-relegazione con… l’Ambrì Piotta (che fortunatamente ha vinto in casa la prima partita di una serie al meglio di 5).

Quando si dice porsi degli obiettivi e lavorare di conseguenza.

Quando il gioco si fa duro…

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Ancora una volta, dopo un campionato da oltre cento punti, gli Zsc Lions stanno gettando l’opportunità di capitalizzare i grossi investimenti che costantemente arricchiscono la propria squadra di punta. Potrebbe però essere che ad arricchirsi siano soprattutto i giocatori. I quali perdono però di vista uno degli aspetti essenziali dello sport, e soprattutto dell’hockey che è quello di appoggiare con la forza fisica le qualità tecniche.

Non si finirà mai di ripetere che il talento da solo non basta. A maggior ragione se, come ricordava il compianto John Belushi nei panni del John Blutarsky di Animal House, “quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare”. Quando il gioco si fa duro gli Zsc Lions sembrano invece evitare di immischiarsi alla faccenda.

Un’attitudine che sovente era stata in anni passati quella del Lugano. Ma ora non è così. Il Lugano è in vantaggio nella serie e a una vittoria dal passaggio del turno grazie all’agonismo individuale e collettivo che mette in ogni partita contro un avversario che gli è tecnicamente superiore. A cominciare dal portiere e passando uno per uno tutti i giocatori, i bianconeri non concedono niente, a costo di tumefazioni da discate e da cariche virili.

La quinta partita della serie che ha portano il break a favore della squadra ticinese è stata l’emblema dell’attitudine che i contendenti portano sul ghiaccio. Vedere un Klasen che va a difendere con la foga di un principiante beccandosi 2′ di penalità per carica con il bastone riesce a dare l’idea di cosa sia riuscito a cambiare nella chimica della squadra Greg Ireland, con pochi accorgimenti. Il più importante dei quali è stato trovare la chiave per unire il gruppo nel sacrificio collettivo nell’intento di raggiungere l’obiettivo.

Magari non sarà sufficiente per andare molto lontano, poiché alla fine i bianconeri vincono soprattutto difendendosi a denti stretti (19 tiri bloccati da giocatori, contro i soli 3 dei Lions), ma sta facendo ben più di quanto ci si aspettasse neanche un paio di mesi or sono. Ed è un Lugano che non può non piacere a chi apprezza l’hockey.

Il Lugano sembra aver imparato dai propri errori, mentre gli Zsc Lions continuano a sguazzarci dentro, nonostante lo scorso anno furono umiliati dal Berna da vincitori della stagione regolare.

Scelte opportune e meno

Zanatta

I cambi d’allenatore di Lugano e Ambrì Piotta sono esattamente speculari. Se l’uno era la probabile soluzione, l’altro era la probabile inutilità. A Lugano i giocatori di qualità ci sono stati fin dall’inizio della stagione (e dunque il problema poteva essere che Shedden non era più in grado di governarli al meglio); ad Ambrì la fallimentare campagna trasferimenti aveva indebolito a tal punto la squadra che il povero Kossmann è caduto in depressione anche lui.

La famosa e fumosa vittoria leventinese nel derby del 4 febbraio (4-1) aveva illuso più di uno che Dwyer, catapultato lì a far più che altro da spettatore quella sera, fosse il salvatore. Due settimane dopo il 5-0 ottenuto dal Lugano sullo stesso ghiaccio della Valascia ha diradato il fumo di cui sopra.

A distanza di oltre un mese da quel primo derby fra Ireland e Dwyer, il primo, dopo avere messo un po’ ordine, sta conducendo il Lugano in una serie di quarti di finale dei playoff contro gli Zsc Lions. Il secondo è dal canto suo piombato insieme a tutta la squadra in una situazione persino peggiore di quella che aveva trovato al suo arrivo.

È pur vero che a Lugano a far la differenza al momento è soprattutto il portiere Merzlikins, ma Ireland ha saputo valorizzare anche altre peculiarità della squadra, inducendo gli svedesi a lavorare di più ed elevando la fiducia negli svizzeri. Il che porta a valutare in ogni modo positivo il cambio di coach in casa bianconera.

Dwyer non ha per contro lasciato alcuna impronta finora. Non avrebbe potuto anche perché è in fondo un allenatore con poca esperienza e pochi risultati tangibili. La scelta in questo caso è stata sbagliata. Da Zagabria, dove è andato a pescare il coach, il club biancoblù avrebbe fatto meglio a riprendersi Alexandre Giroux, uno mandato via con un po’ troppa fretta, che magari poteva contribuire a risolvere il problema dei gol che non arrivano.

Quanto al ruolo di coach, probabilmente si sarebbe dovuto optare un’altra volta per una soluzione interna. Ma non quella assurda di cambiare l’assistente. Zanatta a questo punto avrebbe dovuto assumersi in tutto e per tutto la responsabilità. Richiamando magari Scandella al suo fianco e diventando lui il coach a tutti gli effetti, Anche perché in fondo questa squadra l’ha costruita lui.

Distrazioni e obiettivi

L’ennesimo passo falso dell’Ambrì Piotta nel suo accidentato cammino stagionale – la sconfitta casalinga con il Langnau in apertura di torneo playout – è per lo più stata sottolineata attraverso la prestazione positiva del ventunenne attaccante Noele Trisconi. C’è di che rimanerne perplessi.

Senza nulla togliere alle buone doti di Trisconi, come sovente accade ci si concentra su un aspetto marginale della questione. Intanto, se alla fine di una partita terminata 2-1 si premia come migliore giocatore della compagine sconfitta un attaccante c’è qualcosa che non quadra. Se poi questo giocatore è rimasto in pista meno di otto minuti la cosa perde ancora più senso.

Si carica insomma di inutile e mal riposta pressione un giocatore alle prime armi nella categoria, perdendo di vista la situazione reale. Ci si distrae dal nocciolo della questione.

Il problema di fondo sta nel fatto che l’Ambrì, visti i correttivi apportati alla formazione nelle ultime settimane, si sia “rinforzato” con giocatori prelevati nella categoria inferiore dal partner-team Biasca. Che, fra parentesi, ha chiuso all’ultimo posto la stagione regolare. A questo punto si è indotti a pensare perché mai, visto che c’erano questi talenti nascosti, non si sia pescato prima nella squadra di Luca Cereda?

Dato per scontato che la campagna trasferimenti dello scorso anno è stata fallimentare sotto tutti i punti di vista, rimane comunque il fatto che Dwyer si è trovato a disposizione oltre una ventina di professionisti con alle spalle quasi un’intera stagione di Lega Nazionale A, ma in realtà non sa fare meglio del suo predecessore Hans Kossmann. Tolta la vittoria nel derby d’esordio del tecnico canadese (indotta da un Lugano inguardabile) e quella nell’ultima inutile giornata di campionato, l’Ambrì di Dwyer è persino peggio del precedente. Il fatto poi che Dwyer metta da parte giocatori di esperienza, con i quali si dovrebbero invece cercare soluzioni di emergenza e a tempo determinato per vedere di risolvere la situazione, non fa altro che creare ulteriore pressione in uno spogliatoio che si può ben immaginare salti per aria ad ogni squillo di campanello.

Riassumendo, è sostanzialmente impossibile che l’Ambrì possa pensare di salvarsi dalla retrocessione affidandosi ai giocatori di LNB. Ma se questa si voleva fosse la soluzione, allora tanto valeva lasciare Dwyer dove stava, far concludere la stagione a Luca Cereda a titolo provvisorio per poi riaffidargli il progetto Rockets a primavera inoltrata.

Salvo sorprese

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È tempo di pronostici e valutazioni. Arrivano i playoff e i playout di Lega Nazionale A. Se ne sentono e leggono di ogni sorta. La tendenza generale è sempre più quella di enfatizzare, a livello mediatico, per creare notizie e attese gratuite.

A tutti gli effetti, però, sono tre semplici concetti a fare la differenza in un senso o nell’altro nella fase cruciale della stagione: un portiere forte tecnicamente ma soprattutto mentalmente, una squadra organizzata e solida fisicamente, e un paio di tiratori scelti (sniper). Per quanto riguarda invece l’allenatore, se non sei l’Arno Del Curto o il Kevin Schläpfer di turno (per tacer di Chris McSorley), la figura è totalmente secondaria. Lo raccontata il compianto Peter Jaks, quando parlava del titolo vinto dagli Zsc Lions nel 2000: “Ma quale coach, che in panchina ci fosse o non ci fosse stato Kent Ruhnke, il titolo lo avremmo vinto lo stesso perché facevamo andare le cose con la forza del gruppo e delle nostre gerarchie interne”.

Non a caso quei Lions rimangono l’ultima squadra ad aver vinto due titoli di fila.

La stessa cosa si può dire del Berna della scorsa stagione, che l’impresa di vincere i playoff da ottavo classificato della stagione regolare non l’ha certo compiuta grazie a Lars Leuenberger. Ciò non toglie che il Berna di quest’anno potrebbe infine essere il club in grado concedere il bis. Ha il portiere più performante (Genoni), i miglior marcatore (Arcobello) ed è in grado di dominare fisicamente.

Il maggior antagonista potrebbe rivelarsi lo Zugo, per gli stessi motivi. I Lions sono, al solito, molto estetici, tecnicamente impeccabili, ma poco fisici. La sorpresa potrebbe essere il Losanna, le mine vaganti Davos e Ginevra. Il Lugano rimane un’incognita tra scarso rendimento degli stranieri e quasi totale dipendenza dal portiere.

Nei playout non ci saranno storie: Ambrì e Friborgo non potranno evitare lo spareggio dopo sei inutili turni. Il Friborgo ha migliori attaccanti (Sprunger e Cervenka), un allenatore scafato (Huras) e un consulente prestigioso (Slava Bykov). L’Ambrì dispone di un portiere migliore, ma al momento piuttosto confuso dal mercato. L’Ambrì non ha veri sniper, è suadra tutt’altro che solida e ha un coach depresso da una stagione di sconfitte in KHL proseguita da noi. Se non eviterà la sfida con i campioni di B, l’HCAP rischia fortemente la retrocessione.

Ogni sorpresa, sotto qualsiasi forma, manterrà allegri.