Cereda bella sfida, Conz brutto rischio

Affidare la squadra a Luca Cereda è una bella sfida per l’Ambrì. Ma sarà vincente solamente se si saprà tener duro anche nei momenti difficili. Al nuovo allenatore, l’Ambrì Piotta dovrà concedere il tempo necessario. Quello concesso a Biasca, dove ha lavorato bene due anni e ha conquistato una promozione in Lnb. Ma non va dimenticato che con i Rockets non c’era la benché minima pressione e l’ultimo posto, pur in rimonta, non è costato né spareggi né retrocessione. In Lna il discorso è diverso e occorrerà essere forti in autunno e in inverno, per magari poi lottare per la salvezza al cospetto della primavera.

Si deve partire dal presupposto che sarà ben difficile fare peggio rispetto alla stagione appena conclusa. Cereda appronterà il suo staff tecnico e magari l’Ambrì tornerà anche ad avere un preparatore atletico all’altezza della situazione. La condizione fisica di una squadra più debole delle altre non deve essere approssimativa, come è stata nelle ultime stagioni. Altrimenti le pecche salgono inesorabilmente a galla. Sarà difficile fare peggio ed è già qualcosa.

Duca ha detto che ci saranno alcuni giocatori esperti, quattro stranieri forti, tanti giovani e un portiere. Ecco, già si mormora il nome di Benjamin Conz. Che rischia di diventare l’ennesimo esempio del giocatore che l’unico contratto in A lo troverebbe ad Ambrì, come è successo spessissimo in questi anni. Con i risultati lì a parlare. Conz è stato di gran lunga il portiere meno efficace della scorsa stagione regolare (l’unico al di sotto del 90% che rappresenta la canonica sufficienza). E questo dovrebbe contare. Conz è da sempre un portiere sopravvalutato, anche negli ingaggi. Si parla in effetti di una richiesta attorno al mezzo milione di franchi, fatta a Zanatta che già lo aveva contattato. Per farla breve, Conz è quasi al punto che dovrebbe pagare lui per ottenere un contratto in Lna. Quindi non si cominci con un errore di valutazione in una posizione tanto importante.

Interessante sarà ora sentire cosa si tuonerà nel segno dello straripante ottimismo, a Giornico.

E se fosse davvero tempo di scendere?

Fra meno di una settimana, andrà a concludersi l’annata contabile delle società di hockey. Vale a dire che la stagione 2017-18 inizierà ufficialmente il primo maggio. L’Ambrì Piotta ha purtroppo appena concluso l’esercizio sportivo 2016-17, così che i tempi sono stretti. Tanto più che avere conquistato la salvezza solo a metà aprile ha ulteriormente complicato le cose.

Nella situazione di terrore in cui si era venuta a trovare la società (l’odore di retrocessione stavolta era fortissimo) ci si è sbilanciati a dire che in caso di salvezza si sarebbe voltata pagina. “Ci metteremo in discussione tutti”, si è tuonato buttando per aria la cenere per cospargersi il capo, àl termine di un carnevale che durava ormai da anni e in aria di quaresima.

Appare tuttavia un po’ sospetto che si sia immediatamente deviato il discorso sulla nuova pista, su costi, soldi che mancano e bla bla e bla bla. Come dire, sappiate che noi vogliamo cambiare direzione alle cose, ma senza la pista non si fa niente. E se poi andasse a finire che a pagare il conto sia ancora una volta il settore giovanile? I soldi vanno investiti prima di tutto nella pista, i cui costi del progetto continuano a lievitare senza soluzione di continuità. Mentre i finanziamenti sono praticamente poco oltre quelli pubblici per smantellare la vecchia Valascia.

L’Ambrì vuol darsi un futuro ma continua a immaginarselo senza tenere conto del presente e soprattutto senza costruire nel presente quello che sarà il futuro. La pista servirà alla prima squadra, che si vorrebbe formata da sempre più giovani cresciuti in casa. Ma si investe sempre meno sulla loro formazione, nascondendosi dietro il progetto Biasca che funziona, ma che a sua volta va sostenuto con i giovani.

Si dice che la pista nuova potrà finanziarsi da sola. Ma di fatto potrà sopravvivere solamente se andrà in porto il progetto ben più ambizioso degli investitori kazaki, magnati del gas, che hanno acquistato il Sanatorio per farne un’Accademia internazionale di hockey. Un’Accademia che non sarà per i giovani ticinesi (costi di iscrizione riservati a milionari) ma che avrà bisogno di parecchio ghiaccio. Ma, se andrà in porto, questo progetto sarà realizzato sicuramente ben dopo il 2020.

La vera soluzione economicamente sostenibile per l’Ambrì Piotta sarebbe quella di costruire il nuovo stadio verso Bellinzona. Costerebbe meno, sarebbe più facilmente finanziabile e sul piano sportivo permetterebbe ai giocatori di allenarsi vicino a casa, a gran parte dei tifosi di accorciare le trasferte.

Parecchi sono infastiditi da questa prospettiva. Si perderebbe l’identità di squadra di montagna (vero), ci si allontanerebbe dalle radici della storia di questo club (vero). Tuttavia, se questa dovesse essere la soluzione che più di ogni altra permetterà all’HCAP di averne ancora di storia, probabilmente anche i più recalcitranti arriverebbero alla fine a comprendere. Per il resto, non è più vero che l’Ambrì è un’azienda che fa vivere l’Alta Leventina. Intanto, lo spostamento dello stadio vicino all’autostrada finirebbe per uccidere i ritrovi pubblici superstiti, tanto più che rafforzando la ristorazione in pista già si andrebbe in quella direzione. Inoltre, soldi in Valle l’Ambrì ne lascia ben pochi, con i rifornimenti che arrivano da sotto il Ceneri o da oltre confine. Per quanto concerne la Valascia attuale, potrebbe tornare utile all’eventuale Accademia di cui sopra, e magari anche al settore giovanile.

L’Ambrì Piotta deve fare i conti con i tempi che corrono e con i costi che lievitano. Continuare cocciutamente a portare avanti progetti al di sopra delle possibilità reali e contro una logica conseguente (come insegnano questi ultimi disgraziati anni di gestione trallallero) non potrà che far rimanere la società con il fiato corto. Finché non ci sarà più ossigeno.

Scendere di qualche chilometro lungo il corso del Ticino (che si sbandiera “biancoblù”) permetterebbe probabilmente di scendere a meno compromessi da nodo scorsoio.

Uomini, identità e identificazione

Il Berna che diventa campione, l’Ambrì che cambia direttore sportivo, nell’hockey; il Basilea che cambia politica societaria per rilanciare il progetto nel suo insieme, nel calcio. Tre notizie degli ultimi giorni che hanno avuto quale comune denominatore l’identità e l’identificazione.

Il primo in ordine cronologico è il Basilea, che domina incontrastato la scena nazionale ma che ha perso un po’ di smalto sul piano internazionale. Allora si decide di cambiare qualcosa. E, mantenendo alti gli investimenti, si punta sull’identificazione nel club, nella maglia. Il progetto del rilancio è affidato a tre ex giocatori (Marco Streller, Massimo Ceccaroni e Alex Frei), che alla prima uscita pubblica annunciano che non si andrà avanti con l’allenatore zurighese Urs Fischer, e si punterà sul ritrovare una continuità tra il settore giovanile e la prima squadra. Insomma, si cercherà di ricominciare a produrre e lanciare i talenti in casa. Cosa un po’ abbandonata ultimamente. Il campionato svizzero è stantìo e qualcos’altro andrebbe cambiato, a cominciare magari dall’aumentare il numero di squadre.

Che è superiore persino nel campionato di hockey, che ha una base ben più ridotta, ma che dà più spazio ai giocatori svizzeri. Il Berna, come il Basilea, è la squadra che investe di più. Lo SCB genera una cifra d’affari che si aggira sui 60 milioni di franchi, compreso il controllo di tutti i ristoranti e spacci nello stadio e attorno allo stadio dell’Allmend. Più di un terzo di questi soldi vengono investiti nella prima squadra e nella formazione. In questa stagione, ancor più che nella precedente che pure era sfociata nel titolo, un elemento apparso determinante è stato quello dell’identificazione dei giocatori nel progetto Berna. L’amalgama tra elementi di provata esperienza e giovani scaturiti dal vivaio ha funzionato al meglio. Probabilmente è anche frutto della coesione nata nel finale della passata stagione quando, dopo un campionato di basso profilo, gli Orsi hanno proposto dei playoff di alto rango, centrando il primo titolo per una squadra terminata ottava nella stagione regolare, e con un minimo ruolo rivestito dall’allenatore che li ha traghettati nel finale, Lars Leuenberger. Aver poi portato due tecnici di prestigio e personalità, quali Kari Jalonen e Ville Peltonen, ha poi ulteriormente fatto crescere un gruppo che non ha perso un colpo.

Infine l’Ambrì che, come era filtrato qualche settimana fa, ha fatto del capitano Paolo Duca il nuovo direttore sportivo. Duca prende il posto di Ivano Zanatta (seconda vittima del fallimento stagionale, dopo Hans Kossmann) con il compito di riportare identità e identificazione nell’Ambrì e attorno all’Ambrì. Ci vuole. La figura è certamente quella giusta, ma forse si è caricato il neo d.s. di troppe incombenze. Che sono le stesse affidate due anni or sono al suo predecessore, ossia gestione della prima squadra, del progetto Biasca Ticino Rockets, degli Juniores élite e di tutto il settore giovanile. Con il risultato che, alla prima difficoltà, Zanatta ha dovuto praticamente lasciar perdere gli Juniores e il settore giovanile. E, certamente, pur con tutti gli scongiuri del caso, non è che l’Ambrì di problemi non ne avrà più.

La missione salvezza comincia ora

Buon per l’Ambrì che la salvezza, anche se un po’ tirata a causa delle scarse doti offensive della squadra, è arrivata in fretta nello spareggio con i campioni di B. Adesso non c’è troppo per soffermarsi a festeggiare e occorre cominciare a ricostruire con realismo. È finito il tempo dei voli pindarici delle assurde promesse da playoff. Un passo alla volta e su sentieri preparati e conosciuti.

Paolo Duca sarà il nuovo direttore sportivo e a lui toccherà scegliere il nuovo staff tecnico. Gordie Dwyer potrebbe essere una soluzione. Non tanto perchè il canadese ha portato l’Ambrì alla salvezza, ma perché ha avuto il coraggio di guardarsi intorno e di puntare anche sui giovani, cosa che in Leventina da un pezzo non era cosa abituale. E questo è un lavoro che necessita di continuità. Duca ha avuto modo di conoscere il coach e saprà meglio lui di chiunque altro se è l’uomo adatto e se lo sono anche i suoi assistenti.

Certo è che non si può affrontare un processo di ricostruzione senza un importante impulso alla formazione che, dopo averla quasi ridotta in frantumi, va puntellata e rilanciata. Non basta crogiolarsi sulla bella realtà dei Rockets di Biasca – che fra l’altro hanno contribuito a lanciare anche giocatori da playoff di LNA quali Fazzini e Riva ad esempio, perché non va dimenticato che c’è dietro anche il Lugano -, ma bisogna preparare anche il loro di futuro, I tre anni di non retrocessione assicurata passano in fretta.

Gli Juniores élite saranno affidati a Diego Scandella, che in passato questo tipo di lavoro lo ha già fatto molto bene. Ma anche scendendo le varie categorie servirà maggiore attenzione e cura nel preparare i ragazzi.

In parole povere, è magari ora che dalle parole, appunto, si passi ai fatti concreti. Per poi forse accorgersi che badando al sodo si spenderanno anche meno soldi per mandare avanti una società la cui squadra ammiraglia è costata troppo soprattutto perché negli ultimi anni ha dovuto andare a pescare tra gli scarti altrui offrendo contratti eccessivamente generosi.

Potenziale svolta

Sarebbe stato un peccato se la dirigenza del Lugano non avesse dato fiducia piena a Greg Ireland. Il tecnico canadese è umilmente approdato un paio di volte alla Resega e ha svolto il suo lavoro con buon successo. La prima con un’agevole salvezza nei playout, la seconda portando in semifinale una squadra che all’inizio dell’anno pareva destinata a un mesto fallimento.

Ireland ha portato soprattutto ordine e serenità in un gruppo di giocatori dotati anche sopra la media ma poco avvezzi alla lotta (salvo note eccezioni). Ha ottenuto da loro probabilmente il massimo che potesse ottenere prendendo le redini in corsa. Ha fatto un buon lavoro.

Ora sarà per certi versi più difficile farsi seguire dal gruppo fin dall’inizio, ma Ireland pare sappia bene il fatto suo, e per il Lugano potrebbe davvero essere il momento di una svolta decisiva. Ireland è un allenatore certamente meno patinato rispetto alla maggior parte dei suoi predecessori, ma la sua umiltà e la palese cultura hockeistica senza troppi fronzoli sono forse gli ingredienti per trasformare una realtà che negli anni si è guadagnata la fama di approdo per talentuosi (e presuntuosi) perdenti in qualcosa magari di meno glamour ma più concreto e vincente.

Fortuna che il Langenthal è più debole

Il discorso è semplice: l’Ambrì è debole, il Langenthal è più debole dell’Ambrì. Il basso profilo dei contendenti permette alla serie di rimanere incerta, nonostante si sia sul 3-0 e i giochi siano quasi fatti. Questo è un bene per i leventinesi, che non sfiorino neanche la tentazione di pensare di essere superiori e ad agire in tal senso. La salvezza è a un passo, magari due se si arriverà (poco probabile) a sabato.

Non è ancora tempo di bilanci, ma sarà meglio che dalle parti della Valascia si pensi velocemente e si agisca di conseguenza, se si vorrà evitare una nuova stagione-incubo. Ad esempio, non è normale che siano i giocatori del Biasca a permettere all’Ambrì di tenere alto il ritmo e testa ai bernesi. Al dilà delle questioni meramente tecniche, è chiaro che qualcosa non ha funzionato, e non funziona, da troppo tempo, nella preparazione fisica. Di fatto i Rockets diventano protagonisti soprattutto perché si sta giocando uno spareggio contro una compagine di Lega cadetta, ridotta all’osso dagli infortuni e quindi a maggior ragione affaticata dalla lunga stagione. Ma sono protagonisti anche perché sono stati preparati meglio alle fatiche a lungo termine.

Occorrerà essere molto più professionali e conseguenti a partire dal mese di maggio, quando si metteranno le fondamenta. E questo è solo uno degli aspetti. Ma, intanto, c’è l’ultima vittoria da mettere in tasca. Fin lì bisognerà pensare a questa disastrata stagione.

Segnali “rossi”

Soffermandosi un momento su quello che sta succedendo ad Ambrì, si stanno profilando similitudini con la stagione 2010/11, quella che si risolse con la salvezza ottenuta nello spareggio di promozione-relegazione con il Visp. Se le similitudini portan bene, i biancoblù sono a cavallo.

Sei stagioni orsono, alla transenna dei leventinesi c’era il discusso Kevin Constantine, il rosso del Minnesota. Questi giunse in corso d’opera a rilevare Benoît Laporte, che non riusciva più a cavare un ragno dal buco. L’aspetto che, più degli altri, distinse Constantine da ognuno dei suoi predecessori fu quello di fare ricorso alle risorse di seconda scelta a disposizione del club, ossia i giocatori appartenenti ai partner-team e quelli che erano sparsi in prestito qua e là per la Svizzera. In effetti, l’allenatore americano si affidò anche a giocatori che a quel tempo giocavano anche nel Chiasso in Prima Lega (che passò poi la licenza al Biasca) e, guarda caso, a segnare il gol che determinò la salvezza dell’Ambrì – nella quinta partita della serie al meglio di 7 con i vallesani – fu proprio uno di questi, Joey Isabella.

Gordie Dwyer, giunto in Leventina a rimpiazzare Hans Kossmann, ormai abbandonato a sé stesso, ha vent’anni meno del suo citato predecessore, non è americano ma canadese. Tuttavia ha i capelli rossi come Constantine, è un vulcano borbottante come lui e fa affidamento sui rincalzi fatti in casa, o quasi. Così si affida senza timore ai Goi, ai Trisconi, agli Stucki, e ora anche ai Hrabec, prelevati dal Biasca fresco di campionato da neopromosso in Lega Nazionale B. Non è una promessa di carriera per questi giocatori (almeno stando al precedente del 2011), ma possibile fonte di un po’ di gloria sì. E se porteranno ai risultati del 2011, chissà che non vada meglio a loro, per il futuro.

Quasi fatta

Sarà magari solo un’impressione ma questo ambizioso Langenthal pare più debole persino di quello che cinque anni or sono già affrontò l’Ambrì Piotta in una sfida simile. Tira molto ma in maniera piuttosto disordinata e talvolta forzata. Ha un portiere nella media e dunque non sufficiente per fagli vincere le partite e segna poco. Anche l’Ambrì segna poco, ci riesce ultimamente su rimbalzi fortunosi, ma nel complesso ha maggiori margini di miglioramento. Il problema attuale è la presenza di soli due stranieri, il che abbassa di molto una percentuale realizzativa già bassa. Inoltre c’è il pericolo che torni a manifestarsi la preparazione fisica approssimativa, che potrebbe non far bastare il vantaggio di essere a due vittorie dalla salvezza, mentre il Langenthal rimane a quattro vittorie dalla promozione. E qui forse può tornare a vantaggio dei leventinesi l’avere altri stranieri da alternare.

Sarà evidentemente di capitale importanza vincere anche martedì alla Valascia. Ma è quasi fatta.

Primo passo verso il futuro

L’Ambrì ha faticato ma, ed è quel che conta, ha vinto la prima partita della serie in cui cerca la salvezza contro il Langenthal. La squadra di Dryer continua a mostrare notevoli limiti e assenza di veri e propri leader, ma oggettivamente il Langenthal non è parso in gara 1 come lo spauracchio che era stato dipinto. E nella prima partita i bernesi non hanno veramente dato l’impressione di una squadra che sta lottando per la promozione, soprattutto al cospetto di un avversario tanto malmesso.

La serie dirà.

Intanto da Ambrì continuano a uscire spifferi dagli spogliatoi e già si parla della partenza di Ivano Zanatta, che dovrebbe tornare a lavorare in Khl. Evidentemente la sua posizione in Leventina si è parecchio indebolita lungo l’arco della stagione e sulle sue spalle pesano le scelte tecniche di un campionato disastroso.

Tanto più che la sua successione è già bell’e pronta all’interno della società. In effetti, a partire dal prossimo mese l’incarico dovrebbe passare nelle mani di Paolo Duca, capitano di lungo corso sul ghiaccio e dunque futuro gestore della ricostruzione sportiva dell’Ambrì. Per il momento, il trentacinquenne asconese si preoccupa però di contribuire a darlo un futuro sportivo alla squadra.

Salvezza vitale

Sarà dunque il Langenthal a sfidare l’Ambrì nello spareggio di promozione-relegazione. O sarebbe forse più giusto dire che sarà l’Ambrì a sfidare il Langenthal? Poco importa. C’è in gioco parecchio per la squadra della Leventina, valle con la quale ha ormai in comune solamente la pista dove gioca e si allena.

Perdere questo spareggio comporterebbe il rischio di sparire per l’Hcap. La speranza più grande di salvare il posto è in effetti legata più all’eventuale rinuncia alla promozione da parte dei bernesi, più che alle doti hockeistiche dei biancoblù.

Per dirla tutta, l’Ambrì Piotta sopravvive a sé stesso da almeno un decennio. L’opera di smantellamento di una realtà che rappresentava una certa cultura nel mondo dell’hockey svizzero è iniziata parecchio tempo fa. Sul piano finanziario è ormai consuetudine che la società sostiene economicamente in gran parte la stagione precedente con i soldi ricavati attraverso la campagna abbonamenti per quella successiva. Spesso poi, al termine di ogni stagione, sono interventi straordinari a salvare baracca e burattini. Non si contano negli ultimi anni i ricorsi a varie forme di elemosina, giustificandola con il sostegno a una realtà periferica che valorizza un territorio, attraverso il famoso indotto, e contribuisce alla crescita dell’hockey ticinese e svizzero attraverso la formazione.

Queste sono due realtà ormai irreali. L’indotto è minimo ed è inutile stare ad elencare dove l’Ambrì vada a fare la spesa per i suoi spacci e dove sono andati ad abitare la stragrande maggioranza dei giocatori e rispettive famiglie. Senza dimenticare che con l’arrivo dell’ipotizzata nuova pista sul campo d’aviazione, anche i ristoranti finora sopravvissuti rischieranno di sparire.

La pista bottiana è ormai diventato il coperchio buone per tutte le pentole, ma non è ancora totalmente finanziata, né potrà fare a meno dell’altrettanto ipotizzata accademia kazaka, della quale si sente sempre meno parlare, ma che sarebbe indispensabile per mantenere il nuovo stadio.

Uno stadio che, nel caso in cui arrivassero i talenti ricchi da Russia e dintorni, non sarà certo teatro di allenamenti riservati al settore giovanile dell’Ambrì.

E qui si arriva alla formazione, aspetto peraltro ignorato per troppi anni da una società che si è spesso nascosta dietro lo schermo della formazione. I ragazzi sono stati abbandonati a loro stessi per troppo tempo e si sono persi talenti per strada, si rischia di perderne altri e il livello medio degli allenamenti è scaduto per numero e livello dei giocatori. Un tempo, i giovani venivano da tutta la Svizzera fino ad Ambrì per imparare l’hockey (si pensi ai Du Bois, ai Demuth, ai Burkhalter…), ma anche dall’estero (gli svizzero-canadesi o -americani, i giovani dell’Est). Perché allora c’era una dirigenza con una visione e si investiva sulla formazione. Oggi l’Ambrì fatica a reperire giocatori nelle annate scarse, perché nessuno vuol più venire in quanto il settore giovanile ha perso vieppiù prestigio. In questa stagione i risultati sono stati scarsi in tutte le categorie e la grande scoperta del club leventinese è stata quella, attraverso chi manda avanti il settore, di dar la colpa ai ragazzi stessi. C’è da vergognarsi.

Alcuni, soprattutto in Valle, pensano che scendere in B sarebbe un toccasana, un modo per far spazio ai giovani. E lo pensano soprattutto perché non si identificano più in una squadra che da parte sua non si identifica più col posto dove gioca. Ma la realtà è che se, magari giocheranno più giovani ticinesi, la B finirebbe per decretare la fine dell’Ambrì.

Quindi l’Ambrì ha bisogno vitale di salvare il posto in Lega Nazionale A. Intanto perché non riuscirebbe più a finanziare una squadra di professionisti per mancanza di interesse da parte di sponsor che già scuciono poco. E poi perché ha bisogno di ripartire da una realtà di alto livello per cominciare a fare pulizia al proprio interno e a rilanciare davvero una realtà che abbia a che fare con la storia dell’Ambrì e il prestigio che l’ha accompagnato per decenni. Piantandola di riempirsi solamente la bocca con dei concetti astratti.

L’Ambrì ha pochi mezzi tecnici da vantare. Il discorso da fare ai giocatori sarebbe quello di cercare identità e identificazione per creare i presupposti della salvezza. Altro che allenarsi di nascosto.